Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 101 – settembre/ottobre 2003

di Piero Pruneti

Entro l’anno dovrebbe venire approvato il nuovo Codice dei beni culturali, un progetto ambizioso, dove Giuliano Urbani gioca gran parte della sua credibilità di ministro. Non si tratta di uno scherzo, in quanto la normativa che entrerà in vigore sostituirà per intero tutte le norme vigenti in materia. Ci auguriamo che i giuristi e i tecnici messi all’opera svolgano con coscienza e lungimiranza il loro lavoro, per la salvaguardia del nostro patrimonio e per la fama a venire di chi li ha incaricati. Il problema – per la sostanza delle cose e per la coerenza della stessa azione di governo – è che fra i nodi cruciali che il nuovo Codice dovrà sciogliere rimane la questione gravissima della “Patrimonio S.p.A.”, cioè della possibilità consentita dalla “legge Tremonti” di alienare il patrimonio dello Stato per finanziare la realizzazione di opere di pubblica utilità.

Siamo tutti d’accordo che non si vuole mettere in discussione i vantaggi che possono derivare dalla vendita dei beni demaniali inutilizzati, ma il fatto che queste alienazioni avvengano al di fuori di ogni forma di controllo da parte dello stesso Ministero per i beni culturali. Che il problema esiste lo dimostra, oltre alle critiche delle opposizioni, del mondo culturale e delle associazioni ambientaliste, l’iniziativa di Alleanza Nazionale, partito di governo, che ha presentato un disegno di legge per una commissione parlamentare di vigilanza sulla “Patrimonio S.p.A.”.

La questione si potrà risolvere – in maniera degna di un paese civile – solo stabilendo un confine fra ciò che si potrà vendere, cioè i beni che non hanno un valore storico, artistico, paesaggistico e archeologico, e i beni che questo valore ce l’hanno e che per questa loro natura sono inalienabili. Se il nuovo Codice in arrivo non porterà certezze in tutto questo, se non riporterà il Ministero dei beni culturali a essere tutore del patrimonio di sua competenza, la montagna avrà partorito il topo. Un’ultima, consequenziale, osservazione. La necessità di ridare ai nostri beni culturali la certezza che non potranno essere venduti porta con sé l’urgenza di un censimento di questi beni. È un lavoro immenso, che richiede grandi energie, soldi, ma che dovrà essere affrontato. Sempre se vogliamo rimanere nel novero dei paesi civili, dobbiamo conoscere la consistenza del nostro patrimonio culturale. Per poterlo curare e difendere. E che dopo la “Patrimonio S.p.A.” si venda pure tutto il resto.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”