Le rovine della Mesopotamia Osservatorio

Archeologia Viva n. 100 – luglio/agosto 2003
pp. 84-85

di Fabio Maniscalco

Lo stato di perdurante disordine in cui versa l’Iraq non consente ancora di stilare bilanci attendibili sui danni causati al patrimonio dalla guerra e dall’improvviso collasso dello Stato
Intanto sono possibili delle riflessioni come questa di uno dei massimi esperti italiani di beni culturali in aree di crisi

A partire dalla crisi del 1999 nella Repubblica Federale Jugoslava ha iniziato a imporsi un nuovo modello di guerra che vede grandi potenze alleate contro singole nazioni, con la finalità dichiarata di ripristinare la pace e l’ordine. Questo genere di conflitto si è rivelato particolarmente insidioso poiché, in assenza di controllo da parte di un organismo sovranazionale e universale, quale l’Onu, possono verificarsi disattenzioni deliberate o accidentali al diritto umanitario. Basti pensare che in Kosovo, in Afghanistan e in Iraq, oltre a essere stata violata la Carta delle Nazioni Unite, sono stati elusi contemporaneamente uno o più trattati internazionali, quali la terza Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra, la Convenzione de l’Aja del 1954 sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, la Convenzione di Ottawa del 1997 sul divieto d’impiego delle mine antiuomo.

Debolezza e inefficienza dell’Unesco
Nel 1996 e nel 1997 chi scrive, in qualità di ufficiale dell’esercito italiano, ha monitorato la situazione del patrimonio culturale della Bosnia-Herzegovina e dell’Albania e da alcuni anni, anche attraverso le pagine di Archeologia Viva, sta evidenziando i limiti e i rischi degli interventi di “polizia internazionale”. Rischi che si sono concretizzati soprattutto nel corso dell’intervento angloamericano in Iraq, che appunto è stato motivato con la volontà di affermare la democrazia e il diritto contro una dittatura repellente e di eliminare armi di distruzione di massa. Tuttavia, anche – o soprattutto – a ragion veduta, le argomentazioni addotte dai governi statunitense e britannico e da alcuni loro sostenitori continuano a persuadere poco, considerando che le ostilità non sono state decretate da una risoluzione dell’Onu; che sono stati violati numerosi accordi internazionali; che le testate missilistiche, impiegate all’interno di centri urbani, si sono trasformate in mezzi di distruzione di massa e che si è fatto ampio uso di cluster bombs (le micidiali bombe a frammentazione vietate dalla citata Convenzione di Ottawa) e di proietti all’uranio impoverito (sperimentati per la prima volta, nel 1991, proprio in quest’area). […]