Là dove ‘l sì sona… Futuro del pasato

Archeologia Viva n. 100 – luglio/agosto 2003
pp. 78-81

di Luca Serianni

Cos’è e da dove viene l’idioma parlato dalla quasi totalità degli italiani?
Qual è il suo stato di salute? Quanto conta nel mondo? Nessuno finora aveva pensato a una mostra sulla nostra lingua che ora si può visitare nella città che le ha dato i natali

Negli ultimi anni il tema dell’identità italiana è stato affrontato da più versanti, a partire dalle massime cariche istituzionali. Ed è un tema che pone in primo piano, come simbolo identitario più profondo, proprio la condivisione di una lingua comune. Non andrà dimenticato che nell’Italia di oggi – attraversata da spinte disgregatrici in cui tornano a campeggiare i mille municipalismi che si sono stratificati nel corso della sua storia – la lingua, patrimonio attivo ormai di oltre il novanta per cento dei cittadini (in modo esclusivo o in alternanza con il dialetto), è il più importante fattore coesivo di un’appartenenza. Altri fattori sono transnazionali (il cristianesimo), minoritari e discussi (la memoria storica, sempre più labilmente presente nel bagaglio culturale medio, e comunque soggetta a valutazioni diverse e talvolta antitetiche) oppure meno profondamente strutturanti, in una parola meno significativi, come la gastronomia (da tempo la pastasciutta è il classico primo piatto da Pordenone a Gela) o il tifo calcistico.

Come nasce una lingua
Una lingua nazionale è, di norma, un antico dialetto parlato in un’area geograficamente ristretta che è riuscito a imporsi su altri dialetti. Questo è vero anche per l’italiano, ma i modi attraverso i quali il processo è avvenuto sono decisamente atipici. Altre grandi lingue europee – il francese, lo spagnolo, l’inglese – si sono modellate sulla lingua della capitale politica e amministrativa: la forza delle armi e del potere ha spinto, o costretto, i vari cittadini di Francia ad accogliere il predominio della lingua di Parigi, sacrificando culture e idiomi prestigiosi come il provenzale (il tramite attraverso il quale la civiltà occidentale ha riscoperto la poesia lirica). In Germania, un paese che raggiunge l’unità politica addirittura più tardi dell’Italia, nel 1871, l’affermazione del tedesco moderno si deve alla riforma di Lutero che, traducendo la Bibbia e favorendone la capillare diffusione presso i fedeli, promosse una particolare varietà linguistica a lingua della società civile.

Fuori d’Europa, un altro, e certo più clamoroso, caso di lingua nazionale affermatasi sul fondamento di una forte motivazione religiosa è quello dell’ebraico: mantenutosi nei secoli solo come lingua sacra, esso fu promosso a lingua dell’uso solo alla fine dell’Ottocento, non senza vivaci resistenze all’interno dell’ebraismo. Dopo la seconda guerra mondiale e la tragedia della shoah, riuscì a diventare la lingua ufficiale dello stato d’Israele, restituendo agli ebrei il senso di un’appartenenza non solo religiosa ma anche prosaica e quotidiana. […]