Piccoli e grandi: giocare fa bene… Vita da Romani

Archeologia Viva n. 99 – maggio/giugno 2003
pp. 82-85

di Fabrizio Paolucci

Nel mondo romano come in ogni civiltà il gioco ha rappresentato uno strumento di crescita e di apprendimento per i più piccoli e uno scacciapensieri per gli adulti

Ogni fase della vita umana, dalla fanciullezza all’adolescenza e alla maturità, ha i suoi giochi e in ogni tempo si è cercato di elaborare i mezzi migliori per soddisfare il desiderio di divertimento e spensieratezza, istintivo in tutti noi grandi e piccoli. Ovviamente i passatempi dei primi anni di vita sono quelli che, per la loro semplicità, presentano il maggior grado di conservatorismo.

Non c’è da stupirsi se scopriamo che anche nel mondo romano, come già in quello greco, sonaglini di forme e materiali più diversi erano gli strumenti ai quali madri, nonne e nutrici affidavano ogni speranza per placare le furie piangenti nella culla. A tale scopo furono realizzati sonagli a forma di animali (maialini, gufi, tartarughe), ma anche di uomini e donne e, persino, di culle con tanto di bambino dentro! Il semplice giocattolo, che poteva essere in ceramica, ma anche di legno o bronzo, prevedeva, naturalmente, un sassolino al suo interno in modo da produrre il suono che incuriosisse e distraesse la piccola peste.

Crescendo il bambino scopriva giocattoli più raffinati che imitavano i modelli degli adulti. Non appena in grado di camminare, i fanciulli trainavano carrettini o cavalieri in miniatura montati su rotelle, realizzati in legno o ceramica. Ben presto loro stessi si immedesimavano nella figura dei cavalieri-giocattolo e, «cavalcando lunghe canne», come ricorda Orazio (Saturae, 2, 3, v. 249), impersonavano i celebri aurighi che infiammavano le folle del Circo Massimo. Solo alcuni fortunati potevano permettersi autentici carretti trainati da asinelli; i più, ricorda ancora Orazio, dovevano accontentarsi di attaccare a carri in miniatura dei topolini. […]