Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 99 – maggio/giugno 2003

di Piero Pruneti

I beni culturali sono muti. Le moschee e le architetture storiche dell’Islam, i complessi palaziali, le torri “di Babele”, le città, i villaggi, i templi di quattromila, cinquemila anni fa, costruiti fra il Tigri e l’Eufrate in mattoni di argilla cruda cotta al sole, non hanno urlato come la gente sotto le bombe e ancora dobbiamo individuare la vastità delle distruzioni in quell’immenso archivio della memoria storica dell’umanità che è la Mesopotamia, madre diretta del nostro vivere civile. Nella immane, generale tragedia, ci hanno sconvolto l’incendio della Biblioteca nazionale (nella terra dov’è nata la scrittura) e il più che prevedibile saccheggio del Museo di Bagdad, insieme a uno spettacolo che ha fornito la misura dei valori in campo: i carri armati americani subito schierati a difendere il ministero del petrolio e il più grande museo del Medio Oriente, uno dei più importanti del mondo, lasciato senza protezione alcuna nei giorni del caos. Non si potevano avverare previsioni più nere. Gli americani sapevano che il sottosuolo mesopotamico non conserva solo petrolio? Credo che gli inglesi, gli amici del British Museum, espertissimi dell’area, li avessero informati… È un po’ di tempo che il diritto e i trattati internazionali ci sembrano profeti disarmati – «Quante divisioni ha il Papa?», chiedeva beffardamente Stalin… – ma non sono ancora carta straccia la Convenzione dell’Aia (vedi: AV n. 79), che impone agli occupanti precise responsabilità nella tutela del patrimonio culturale della nazione invasa, e la Convenzione di Ginevra che obbliga, sempre l’armata occupante, ad assicurare l’ordine pubblico, perché è evidente che il disfacimento di uno Stato ha come conseguenza immediata la destrutturazione dei sistemi di sicurezza. Al pari del numero indefinito di morti (chi ha tenuto il conto per la gente di casa?) prodotti dalla guerra angloamericana in Iraq, il patrimonio della Babilonia e dell’Assiria che è andato perso non ci parlerà più. I beni culturali sono irrecuperabili, irripetibili come le vite degli uomini. È anche per questo che lottiamo per la loro salvaguardia: per elevare il comune senso del rispetto che l’umanità deve alle sue testimonianze, alla propria identità. Insomma a sé stessa. Cosa rimane della Mesopotamia – della sua memoria, della sua dignità – al termine di questa guerra? Ancora una volta: non si può fare un deserto e chiamarlo pace.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”