Sempre a proposito di legge Tremonti Archeologia e diritto

Archeologia Viva n. 98 – marzo/aprile 2003
p. 91

di Stefano Benini

Nonostante le rassicurazioni governative il contestato provvedimento che consente di vendere i beni culturali e ambientali per realizzare opere di pubblica utilità non lascia affatto tranquilli

Partecipando a una recente tavola rotonda organizzata da Italia Nostra sulla legge “Tremonti” (la n. 112/2002), ho avuto un interessante scambio d’idee con gli altri giuristi invitati circa le reali possibilità di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, compresi i beni storico-artistici (di questo tema cruciale per il destino del patrimonio italiano, si è già trattato in AV nn. 95 e 96 – ndr). Dirò subito che sul punto esiste una grande incertezza. Ultimamente, di fronte al coro di critiche levatosi dal mondo della cultura e dalle associazioni ambientaliste, il governo non ha risparmiato ampie assicurazioni verbali. Inizialmente aveva escluso che fosse in vendita il Colosseo…

A chi aveva fatto notare che la privatizzazione di altri beni, sia pur non famosi come l’Anfiteatro Flavio, e la loro strumentalizzazione a imponenti opere di finanziamento per le infrastrutture, equivaleva di fatto a un’abdicazione da parte dello Stato alla fondamentale azione di tutela del patrimonio storico-artistico e del paesaggio (solennemente affidata alla Repubblica dall’articolo 9 della Costituzione), il Governo ha replicato che comunque qualsiasi alienazione di beni culturali sarebbe subordinata alla necessaria autorizzazione da parte del Ministero per i Beni e le Attività culturali prevista dal decreto n. 283, emanato nel 2000 dall’allora ministro Melandri. Dalle opinioni emerse nella tavola rotonda, pare che qualcuno sia rimasto soddisfatto di queste rassicurazioni; qualche altro ha osservato che la legge “Tremonti” è una delle solite leggi di facciata, valide come messaggi politici, ma alla fine tecnicamente inapplicabili. Tutto a posto allora? […]