Il bel Paese non è… una forma di cacio Opinioni

Archeologia Viva n. 97 – gennaio/febbraio 2003
p. 86

di Valerio Ricciardi

Cresce il fronte di quanti considerano irrinunciabile un nuovo intervento legislativo che impedisca la cessione di parti rilevanti del nostro patrimonio culturale e ambientale

Narrano le cronache che, quando a Gianlorenzo Bernini fu commissionata da Urbano VIII (1623-1644) la facciata monumentale dell’acquedotto dell’Acqua Vergine (oggi, Fontana di Trevi), il celebre architetto – vista l’imponente quantità di materiale necessaria – si preoccupò comprensibilmente dei costi, e suggerì al papa di realizzare grandi risparmi utilizzando il travertino asportabile dalla tomba di Cecilia Metella, sull’Appia antica. Urbano VIII acconsentì, e la demolizione stava per iniziare, quando la voce dell’imminente misfatto giunse a Francesco Gualdi, antiquario ed erudito romano, privo di potere ma non di sensibilità e senso della storia. Questi riuscì a far arrivare la sua supplica al pontefice, che, non senza iniziali resistenze, si lasciò poi convincere. Anzi, reso consapevole, dall’appassionata difesa del Gualdi, dell’importanza di quell’antico cenotafio, Ubrano VIII promulgò un editto in forza del quale, per garantirne la protezione, trasferiva al popolo romano la proprietà del monumento. Si sanciva così la proprietà pubblica di un bene culturale come fattore essenziale per garantirne la tutela. […]