La nostra storia nella… pattumiera! Quante vite hanno le cose?

Archeologia Viva n. 94 – luglio/agosto 2002
pp. 64-71

di Riccardo Merlo

Dal popolamento preistorico del continente alle periferie delle nostre città tutto ciò che gli uomini lasciano serve in varia misura per ricostruire il corso della storia
Ma accanto alle suggestive espressioni dell’arte o alle grandiose strutture monumentali un ruolo primario di documentazione hanno tutte quelle cose a cui nessuno penserebbe mai di affidare la memoria di una persona o di un popolo: i rifiuti

Si prova un misto di pena e imbarazzo per i “barboni”, per le “scorie” dalla società, per i poveri veri che vediamo frugare nelle discariche, nei Paesi dove la fame è di massa. Rifiuto è ciò che si è consumato, che perde funzionalità e si accumula formando strati di deposito: i detriti delle montagne portati a valle dalle alluvioni, le macerie delle abitazioni, gli oggetti smarriti o buttati, i resti di cibo, i materiali organici in decomposizione… Tutto si ammucchia, strato su strato, i materiali recenti sopra i più antichi.

Viste così, le immondizie assumono dignità e funzionalità nuove: ci informano su chi ha prodotto gli scarti e su fatti che la memoria, orale o scritta, non è più in grado di trasmettere. Gran parte delle testimonianze del passato si possono considerare “rifiuti”. Gli archeologi si sono specializzati nel rovistare tra questi “avanzi”, dagli scarti di cucina ai resti umani nei cimiteri, talvolta chiamando con nomi altisonanti le cose più “sporche”: per esempio la “cacca” – da cui si traggono tante informazioni – quando è antica si chiama copròlite… Come detective, gli archeologi analizzano le tracce che emergono dagli accumuli del tempo e le combinano con i documenti storici, con le tradizioni, con quanto forniscono altre discipline quali la biologia, l’antropologia, l’astronomia, la geologia, la climatologia… L’archeologia trasforma i rifiuti in una “macchina del tempo”, a ritroso fra gli uomini che ci hanno preceduto. […]