Mary Rose: il fiore di tutte le navi Archeologia subacquea

Archeologia Viva n. 94 – luglio/agosto 2002
pp. 40-53

di Glann McConnachie, Douglas McElvogue, Paola Palma e Gianfranco Purpura

La rosa è quella della dinastia inglese dei Tudor e la nave era un fiore all’occhiello della flotta reale del famoso Enrico VIII
A vent’anni dallo straordinario recupero procedono senza sosta le operazioni per il restauro e la musealizzazione di un relitto che ha segnato la storia dell’archeologia subacquea

«Il fiore di tutte le navi che abbiano mai navigato sui mari», così l’ammiraglio Sir Edward Howard (1477-1513) descriveva la Mary Rose in una lettera a Enrico VIII, che la fece costruire nel 1509, quando insieme alla corona d’Inghilterra ereditò dal padre Enrico VII anche la flotta reale. A quel tempo acerrimi e temibili nemici della “pallida Albione” erano i francesi e gli scozzesi, che il nuovo re voleva essere pronto a fronteggiare. Dunque, i cantieri di Portsmouth ricevettero la commissione di questa caracca, considerata il fiore della flotta, alla quale Enrico VIII assegnò il nome della sorella favorita, seguito dalla “rosa” Tudor, l’emblema di famiglia.

Nella sua non lunghissima esistenza la nostra nave assolse a numerose missioni e, dopo trentasei anni di onorato servizio, durante l’invasione francese del 1545, alla Mary Rose toccò l’ultimo viaggio. Era il pomeriggio del 19 luglio. Non si sa ancora cosa sia successo esattamente. È certo che la nave affondò nella stessa baia di Portsmouth, nel canale della Manica. Ma non per mano nemica. Le informazioni dell’epoca sono discordi: la fila inferiore dei portelli sarebbe rimasta aperta per cui la nave imbarcò acqua… Fu probabilmente una serie di fattori a trasformare la “rosa dei Tudor” in relitto. Uno dei più famosi d’Inghilterra.

Il primo efficace tentativo di recupero risale al 1836, quando i fratelli John e Charles Dean (di professione tesorieri) scoprirono il luogo dell’affondamento e recuperarono uno dei cannoni in bronzo. Ma la vera scoperta dovrà attendere ancora più di un secolo. Solo nel 1965 il giornalista e archeologo subacqueo amatoriale Alexander McKee si mise alla ricerca del relitto con l’aiuto di un piccolo esercito di volontari, subacquei, archeologi e l’ausilio di Side scan e Sub-bottom sonar. Le indagini nella baia di Portsmouth durarono caparbiamente sei anni e alla fine, nel 1971, furono avvistate le prime tavole del fasciame a 14 metri di profondità. Vennero allora effettuati saggi di scavo in diversi punti del fondale per determinare quanto fosse rimasto della nave. Uno di questi, aperto nel 1978, confermò che nella zona prodiera erano sopravvissuti due ponti.

In seguito a questa sensazionale scoperta, l’anno successivo fu organizzato il Mary Rose Trust – presidente il principe Carlo d’Inghilterra – con personale a tempo pieno e la collaborazione di oltre seicento volontari, per il rilevamento, lo scavo e il recupero della “rosa dei Tudor”. Le operazioni durarono ininterrottamente fino al 1982 per un totale di 27.831 immersioni. Sotto gli occhi di milioni di spettatori in tutto il mondo, l’11 ottobre 1982, dopo quasi mezzo millennio trascorso sott’acqua, il celebre relitto fu portato in superficie per mezzo di un’intelaiatura metallica. La stessa sulla quale giace tutt’oggi.

La Mary Rose, che per molto tempo ancora dovrà sostenere un impegnativo processo di restauro, è custodita nel bacino di carenaggio della base navale di Portsmouth (costruito nel 1799 per la manutenzione delle navi da guerra di sua maestà britannica e ormai divenuto un monumento). Due terzi dello storico bacino sono coperti da un tetto coibentato per mantenere stabili le condizioni climatiche all’interno. Di fronte allo scafo si erge una parete di protezione, oltre la quale i visitatori possono camminare parallelamente alle sezioni della caracca con un’ampia visuale verso l’interno del relitto. […]