Pasherienaset: un egizio, il suo ka e la statua perduta Futuro del passato

Archeologia Viva n. 93 – maggio/giugno 2002
pp. 82-85

di Valeria Cortese e Guido Rossi

Il Museo di Archeologia di Genova lancia un appello per rintracciare la statua di un sacerdote del quale già possiede la mummia e il sarcofago: l’ultima volta – oltre trent’anni fa – l’opera fu vista sul mercato antiquario di New York

Quando nel luglio del 1931 l’avvocato genovese Emanuele Federico Figari decideva di donare al Museo archeologico di Genova un sarcofago egizio dipinto, non sapeva che all’interno vi era conservato il corpo imbalsamato di Pasherienaset, sacerdote del dio Horo e della Dorata, la dea Hathor. La sua famiglia possedeva da tempo quel sarcofago, un dono o un acquisto sul mercato antiquario, forse uno dei tanti pezzi di una collezione di cui oggi non ci sono tracce, appartenuta al padre Tito Cao o al prozio, il celebre Antonio Figari, il primo medico e farmacista a introdurre la farmacopea occidentale in Egitto nel corso dell’Ottocento e che per la sua opera di scienziato fu insignito del titolo di bey, signore. Per anni il sarcofago è stato esposto al Museo di archeologia di Genova, fino a quando non si è reso necessario un lungo restauro, abilmente condotto da Gian Luigi Nicola (Nicola Restauri s.r.l.), che ha permesso di conservarne i pigmenti pittorici, di ricomporre la mummia del sacerdote, studiata da Renato Grilletto del Dipartimento di biologia animale e dell’uomo dell’Università di Torino, e di ricostruire la sua “corazza magica” una rete di oltre tredicimila perline di faïence, completa di scarabeo del cuore e dei “Quattro Figli di Horo”.

Grazie alla generosa disponibilità di Anna Maria Donadoni Roveri, soprintendente al Museo delle antichità egizie di Torino, e per merito della compianta Enrichetta Leospo, egittologa e direttore dello stesso Museo, è stato possibile portare a conoscenza del grande pubblico le vicende di Pasherienaset, ricostruendo con la mostra “Io vivrò per sempre. Storia di un sacerdote dell’antico Egitto” il mondo fisico e metafisico del sacerdote e gettando al contempo uno sguardo sull’ultimo grande periodo della storia egizia in cui si inquadra la vita di Pasherienaset. Grazie ai recenti studi, infatti, sappiamo che questi visse in Età Tarda, al tempo della XXVI dinastia (664-525 a.C.), e faceva parte di una grande famiglia di sacerdoti della quale molti membri sono conosciuti attraverso una serie di documenti il cui nucleo più ricco è costituito dai ritrovamenti (stele funerarie e frammenti di sarcofagi) di Nag el-Hassaia, la necropoli di Edfu; a Tebe fu invece rinvenuta la tomba di un antenato, Patjenfi, “sacerdote di Amon di Karnak e primo sacerdote di Horo di Edfu, sindaco della Città (Tebe) e sindaco di Edfu”.

Le iscrizioni riportate sul sarcofago di Genova rivelano che Pasherienaset era figlio della signora della casa Asetemakhbit e di Padiaabehedet, le cui mansioni non sono elencate, poiché, come spesso accade, il suo nome è accompagnato dall’espressione ‘di uguali funzioni’, con riferimento a quelle sacerdotali del figlio Pasherienaset, servitore di Horo e della Dorata, sacerdote di Osiride-Khentisehnetjer, sacerdote di Iside-Hededet e di Iside-Menset. Oggi Pasherienaset è il protagonista della nuova Sala egizia del Museo di archeologia di Genova. Egli è nuovamente avvolto nelle bende di lino, protetto dalla “corazza magica”, dagli amuleti e dal suo sarcofago, ma… qualcosa di essenziale ancora manca per ricomporre al meglio quel magico incrocio di gesti, parole, segni e oggetti che doveva garantire la sua immortalità. […]