Paleopatologia: malattie fra passato e futuro Scienze per l'archeologia

Archeologia Viva n. 93 – maggio/giugno 2002
pp. 76-80

di Gino Fornaciari

Con le preziose informazioni che sa trarre dai resti dei nostri antenati – a partire da quelli più antichi – la paleopatologia costituisce l’unico punto di contatto fra la medicina attuale e le malattie del passato offrendo la possibilità di una migliore e talvolta decisiva comprensione delle dinamiche dei mali fisici che affliggono l’umanità

Come dice il nome, la paleopatologia è la scienza che studia le malattie di un passato più o meno remoto attraverso l’esame diretto dei resti umani antichi, scheletrici o mummificati. Solo in questi ultimi anni la paleopatologia ha assunto la configurazione di disciplina autonoma, basata sui metodi dell’anatomia patologica, con apporti notevoli dell’antropologia e dell’archeologia. Questo tipo di approccio la differenzia nettamente dalla storia della medicina, che studia invece l’evoluzione del pensiero medico basandosi esclusivamente su fonti storico-letterarie. Naturalmente la paleopatologia si avvale anche dei dati forniti dalla storia della medicina, che costituiscono un aiuto prezioso per l’interpretazione dei quadri patologici di età storica. L’importanza della paleopatologia deriva perciò dal fatto che essa, o meglio i reperti che giungono all’osservazione dei paleopatologi, costituiscono l’unico punto di contatto concreto fra la medicina attuale, con le sue moderne tecnologie biomediche, e le malattie del passato.

Difficoltà legate ai reperti: molti scheletri, meglio le mummie. Lo studio della paleopatologia riveste un duplice interesse: antropologico e medico. Antropologico perché la patologia, cioè l’insieme delle malattie che caratterizza qualsiasi società umana dalla più semplice alla più complessa, è espressione dell’interazione fra l’uomo e l’ambiente, naturale e artificiale, in cui ogni società si trova immersa; perciò lo studio della patologia può fornire importanti elementi per la comprensione della società stessa. La paleopatologia riveste certamente un notevole interesse nel campo della medicina, perché può determinare con sicurezza l’epoca d’insorgenza e le modalità di diffusione ed evoluzione di alcune importanti malattie, come quelle infettive, l’arteriosclerosi o il cancro. Certo, in questo importante – e diremmo generoso – tentativo, la paleopatologia incontra grandi difficoltà, talora insormontabili. I reperti paleopatologici sono rari – quanto più ci addentriamo nel passato – e, quel che è peggio, talvolta di non facile diagnosi. Nonostante questi limiti, la stessa paleopatologia scheletrica (il settore attualmente più indagato grazie alla relativa abbondanza dei materiali di studio disponibili) può fornire informazioni preziose sulle malattie del passato.

Gli studi più completi possono essere però effettuati solo sui resti umani rinvenuti nelle migliori condizioni di conservazione, cioè sulle mummie. Per mummia si intende qualsiasi corpo umano conservatosi per i motivi più diversi, come congelamento, conservazione in torba o disidratazione, e non necessariamente un corpo imbalsamato, cioè trattato artificialmente a fini conservativi com’è il caso delle classiche mummie egizie (vedi: AV n. 91 – ndr). Negli ultimi anni i metodi di studio delle mummie si sono perfezionati. Si è infatti scoperto che, dopo reidratazione, cioè dopo reintroduzione di acqua in laboratorio, campioni di organi antichi possono essere analizzati con le normali tecniche istologiche: le osservazioni al microscopio ottico ed elettronico dei tessuti antichi hanno dimostrato che molto spesso le cellule di questi ultimi risultano in uno stato di conservazione che non differisce da quello dei campioni “freschi”. Per cause climatiche i corpi mummificati sono relativamente numerosi nell’Italia centromeridionale. Si tratta per lo più di deposizioni di età rinascimentale o moderna, ma non mancano mummie medievali, che costituiscono un materiale paleopatologico prezioso, ancora quasi tutto da studiare. La numerosità per campione varia da alcune decine di individui a diverse migliaia, come nelle celebri catacombe dei Cappuccini a Palermo, databili fra XVI e XIX secolo.

Una disciplina recente e il faraone morto di vaiolo. La Sezione di paleopatologia dell’Università di Pisa si è specializzata da tempo nello studio di questo tipo di materiali, ottenendo risultati di grande rilievo scientifico – soprattutto nel campo delle malattie infettive e in quello dei tumori – che l’hanno inserita fra i più importanti gruppi di ricerca a livello internazionale. […]