Hera Argiva. Alla foce del Sele I Greci in Occidente

Archeologia Viva n. 92 – marzo/aprile 2002
pp. 34-48

di Giovanna Greco, Bianca Ferrara, Marta Mariotti e Giuliana Tocco Sciarelli

Pochi chilometri a nord di Paestum le rive del bel fiume campano conservano i resti di uno dei due grandi santuari che i greci di Poseidonia dedicarono alla moglie-sorella di Zeus
Contrariamente al tempio urbano questo alla foce del Sele non conserva resti grandiosi ma la sua lunga vicenda strettamente legata alla storia della città rivive ora in uno spettacolare museo “narrante”

«Dopo la foce del Sele, la Lucania e il santuario di Hera Argiva, fondazione di Giasone e vicino, cinquanta stadi, a Poseidonia…». Così il geografo greco Strabone (circa 60 a.C.-20 d.C.), descrivendo la Lucania, accenna al santuario di Hera presso la foce del Sele. Ancora più puntuale è il racconto di Plinio il Vecchio (23-79 d.C.): «… dal territorio di Sorrento e fino al fiume Sele si estende per trenta miglia il territorio picentino, un tempo appartenente agli Etruschi, famoso per il tempio di Giunone Argiva, costruito da Giasone…».

Dunque un luogo di culto molto famoso presso gli antichi, la cui fondazione viene riportata al leggendario capo della spedizione degli Argonauti alla conquista del vello d’oro. I due scrittori non conoscono esattamente l’ubicazione del luogo e mentre Strabone sembra collocarlo sulla riva sinistra del Sele, Plinio lo mette invece nel territorio dei Picentini e dunque sulla riva destra. Ma per entrambi il punto di riferimento è il fiume, che assume una vera e propria funzione di confine tra due territori diversamente amministrati: sulla sinistra i Greci insediati nella piana di Poseidonia e sulla destra gli Etruschi con i diversi abitati dell’area picentina. Questo celebre luogo di culto scompare presto negli acquitrini del Sele e se ne perdono le tracce: negli Itineraria (elenchi di strade e rotte – ndr) di età romana sono sempre correttamente segnati il corso del fiume e la città di Paestum, ma del santuario di Hera Argiva non v’è traccia. […]