Borgia: la collezione del cardinale Il Settecento e l'archeologia

Archeologia Viva n. 89 – settembre/ottobre 2001
pp. 68-77

a cura di Piero Pruneti

Alla fine del XVIII secolo il cardinale Stefano Borgia realizzò Velletri un museo domestico per registrare le “voci del mondo”
Fu un’esperienza nuova in Europa dove si incontrarono (e si scontrarono) l’universalismo cattolico e l’enciclopedismo illuminista e dalla quale emerse comunque per la prima volta una visione d’insieme nel tempo e nello spazio delle culture nell’intero pianeta

Nel 1785, un viaggiatore polacco, Augusto Federico Moszynski (1730 -1786), aristocratico, architetto, collezionista, conoscitore d’arte e di antichità e amico del re di Polonia, fece visita a monsignor Stefano Borgia (1731-1804), a Roma, nel palazzo di Propaganda Fide. Impressionato dalla vastità delle conoscenze del suo interlocutore, lo fu altrettanto dagli oggetti che questo gli mostrò: una mummia e altre antichità egiziane e un’intera collezione di monumenti antichi di Velletri in terracotta, con figure scolpite e dipinte, diversi da quelli degli Etruschi e che sembravano anteriori alla fondazione di Roma.

Moszynski, che registrò tutto nel suo diario di viaggio in francese, notò anche che un considerevole insieme di divinità, bassorilievi e altre opere egiziane era passato dal gabinetto romano di «monsignor» Borgia nel suo gabinetto di Velletri. Moszynski visitò quest’ultimo l’anno successivo, ritornando da Napoli a Roma, e fu colpito in primo luogo dalle antichità egiziane: monete, bassorilievi, geroglifici, statue e bronzi, per riprendere il suo elenco. Anche altre cose attirarono la sua attenzione: alcuni rinvenimenti fatti nei dintorni di Velletri che egli definisce questa volta etruschi, statuette di divinità e di animali, figurine maschili e femminili in bronzo, atteggiate tutte nello stesso gesto, come se intimassero «silenzio». Moszynski terminava augurandosi che questa bella raccolta potesse un giorno decorare il museo del Vaticano o di un grande sovrano, invece di subire l’abituale destino delle collezioni private, che vengono disperse dopo la morte del loro creatore.

Un viaggiatore ancora più illustre si fermò a Velletri – era il 22 febbraio 1787 – recandosi da Roma a Napoli: anche Goethe (1749-1832) visitò prima il palazzo della Propaganda Fide dove, il giorno dell’Epifania, ascoltò i seminaristi che recitavano nelle loro lingue natie, i cui strani suoni facevano ridere il pubblico. Nel «museo» di Velletri – questo è il termine che utilizza – Goethe ammira soprattutto le divinità egiziane scolpite in una pietra eccezionalmente dura, le figure di metallo di diverse epoche e i bassorilievi in terracotta rinvenuti nei dintorni di Velletri, che attribuisce ai Volsci. Cita anche alcune rarità, come due calamai cinesi decorati con quadretti, che con molta semplicità e finezza rappresentano l’allevamento dei bachi da seta e la coltivazione del riso. […]