Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 89 – settembre/ottobre 2001

di Piero Pruneti

Credo che quel titolo succulento, “Sangue e arena”, scelto dagli organizzatori della mostra attualmente aperta al Colosseo e che non pochi mugugni ha registrato fra i paladini di un messaggio archeologico più “scientifico” e scevro da sensazionalismi, sia invece ben appropriato. È un titolo “popolare” che rende l’idea del successo popolare di quei giochi, capaci di accomunare tutte le classi sociali in un’unica scatenante (e liberatoria?) passione, come oggi il calcio e forse più, se vogliamo considerare il rapporto fra la popolazione dell’epoca e la capienza di certi anfiteatri. “Sangue e arena” è una mostra necessaria: per ristabilire un corretto rapporto ideologico ed emotivo con un qualcosa che ci appartiene e che abbiamo rimosso, ma che ci ha sempre accompagnato, con quel misto di curiosità e riprovazione che la gladiatura suscita sempre dentro di noi. Tanta curiosità. Morbosa curiosità. Piacevole spettacolo della violenza che oggi accettiamo senza problemi nella finzione cinematografica e non solo in quella che – senza risparmiarci niente – ci presenta direttamente i giochi gladiatori (avete presente gli squartamenti di The Gladiator?). La maggior parte dei film prodotti, compresi quelli trasmessi per televisione, contiene scene di violenza, quasi sempre gratuite, nel senso che non sono inserite in una struttura narrativa funzionale a un’idea. E qualcuno li vedrà se vanno per la maggiore… C’è, insomma un inconfessato continuum fra lo spettacolo della violenza di duemila anni fa e quello, quotidiano, anche se solo nella fiction, di oggi. Violenza virtuale – nel gioco – al posto di quella reale degli anfiteatri. Questo è già un vantaggio.

Senz’altro lo fu – l’abolizione dei ludi circensi – per chi l’arena la doveva subire… Il problema, se lo vogliamo riconoscere, nasce quando pensiamo di cancellare una realtà semplicemente negandola. I conti da fare con il passato sono sempre molto più complessi di quanto sembra. Dopo duemila anni di cristianesimo non abbiamo avuto l’olocausto e le stragi di Bosnia? Il passato è scritto sulle pietre e dentro di noi. E più è lontano, più è profondo. Dobbiamo scoprirlo, prenderne atto e confrontarsi con esso senza tabù (lo sapeva il vecchio Freud, che amava l’archeologia!). Vale per i singoli e per l’umanità nel suo insieme. A questo serve anche “Sangue e arena” e un po’ – spero – la nostra rivista.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”