Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 87 – maggio/giugno 2001

di Piero Pruneti

Non c’è dubbio che uno dei fatti più sorprendenti di questi ultimi mesi sia stata la distruzione dei buddha “giganti” dell’Afghanistan e, insieme ad essi, di gran parte delle testimonianze culturali e religiose preislamiche di quel paese (compresi i reperti del Museo nazionale di Kabul che non si sa che fine abbiano fatto), ritenute opera del demonio come tutto ciò che non appartiene al sacro orizzonte dei talebani. Quello scempio, annunciato ed eseguito senza che nessuna autorità mondiale sia riuscita a fermarlo, di monumenti ritenuti patrimonio dell’umanità, è stato davvero di una violenza inaudita e giustamente si è guadagnato la costernazione generale. Ma, pur nella loro “estremità”, credo che quelle distruzioni abbiano sorpreso meno quanti conoscono la storia o che, per motivi professionali, seguono da vicino le sorti dei beni culturali nei paesi in situazione di conflitto (si legga alla pagina 8 la nota del nostro Fabio Maniscalco). La storia e l’archeologia ci confermano che è prassi consolidata dell’uomo distruggere i simboli culturali dei nemici, degli “infedeli”, degli “altri”. Nessuno si è mai sottratto a questo metodo, neppure – anzi, tantomeno – il mondo cristiano che per secoli fece a pezzi come meglio poté le testimonianze degli «dèi falsi e bugiardi». L’idea del rispetto delle culture e delle religioni altrui è una conquista recentissima dell’umanità, che deriva essenzialmente dal pensiero laico e liberale e che, al pari di tante altre cose, è ben diffusa in certe parti del mondo e meno in altre.

Insomma è un’idea che funziona dove non mancano buona cultura, pace e benessere, cioè dove la situazione ambientale lo consente. Durante il secondo conflitto mondiale, nella civilissima Europa, dove anche gli sterminatori si commuovevano davanti a un’opera d’arte, non si portò rispetto a niente. La stessa cosa, sempre in Europa, è successa nelle recenti guerre balcaniche, con migliaia di monumenti distrutti nella disattenzione generale (a parte l’emozione per il crollo del ponte di Mostar, troppo noto al turismo di massa). Dunque, i talebani (o infiltrati dell’estremismo arabo in Afghanistan che siano) si sono posti su una linea di comportamento che ha profonde e sempre vive radici nell’umanità e, secondo me, criminalizzarli come dei mostri alieni non ha molto senso. C’è ben altro da fare per evitare simili tragedie.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”