Alla scoperta del continente Sardegna Insieme per l'archeologia

Archeologia Viva n. 86 – marzo/aprile 2001
pp. 102-107

di Autori Vari

Proseguono nell’isola dei nuraghi gli scavi promossi dall’Esit per la valorizzazione del patrimonio culturale tramite la partecipazione di volontari da ogni parte d’Italia
E sono sempre più numerosi gli stessi sardi che vogliono partecipare alla riscoperta del loro passato

Come avviene puntualmente ormai da sei anni ci ritroviamo a fare il punto delle esperienze di scavo condotte in Sardegna dalle due soprintendenze dell’isola con la partecipazione determinante di volontari. È sempre l’Esit – Ente sardo industrie turistiche il promotore dell’iniziativa insieme alle amministrazioni comunali interessate dalle ricerche sul loro territorio, i quali sempre meglio si fanno carico delle necessità logistiche delle varie “operazioni”, ed è ancora Archeologia Viva che mobilita i suoi lettori per il recupero di alcuni monumenti significativi del patrimonio archeologico sardo. Quasi tutti ci scrivono quando tornano a casa e sono lettere piene di nostalgia, di momenti che si vorrebbe interminabili, dove l’esperienza archeologica, pur fondamentale, finisce con il divenire anch’essa, giustamente, una componente di vita, insieme alla scoperta della cultura, dell’ambiente e dello spirito sardi, insomma del “continente” Sardegna, del tutto inimmaginabile per chi non lo “prova” da dentro.
E così, nel tempo, procedono gli scavi nella ventosa Gallura, nel nuragico e punico Sulcis, nella “dura” Barbagia, ma si diffonde anche questo nuovo rapporto con l’isola, da parte di persone (ormai centinaia e centinaia) che scoprono tutto il valore di uno scambio fra il proprio mondo, sociale e culturale, che ognuno porta dentro di sé, e la realtà di un’isola, altrimenti vista come uno dei soliti “mordi e fuggi” turistici.

Ma sono gli stessi sardi che in tutto questo attingono forse i maggiori vantaggi. E non parlo di quelli, evidenti, sul piano dell’immagine e della proposta della propria terra. Dico delle vistose trasformazioni in corso nel rapporto fra le comunità locali e il loro patrimonio. Non sono poi lontani, anzi non sono neppure del tutto finiti – qui come altrove – i tempi in cui i cumuli di pietre delle antiche rovine erano visti come cave di materiali da costruzione o luoghi di probabili tesori da scoprire e rivendere. Ora assistiamo invece a comunità che partecipano alle ricerche, non solo istituzionalmente con l’intervento delle proprie amministrazioni coinvolte nella logistica degli scavi, ma con la presenza, ancor più significativa, di singoli cittadini, spesso interi gruppi di studenti del paese o della città, che si rimboccano le maniche, e questa volta per difendere e valorizzare la ricchezza della memoria comune. […]