La tomba di Pietro e la necropoli vaticana Obiettivo su...

Archeologia Viva n. 86 – marzo/aprile 2001
pp. 88-95

di Fabrizio Paolucci

Pochi metri separano la basilica del Bernini dai resti sottostanti del vasto sepolcreto pagano con la venerata tomba dell’apostolo
Gli effetti di un radicale intervento di illuminazione per una lettura più corretta e coinvolgente delle strutture antiche

Riesce difficile immaginare oggi quale fosse l’aspetto di quella porzione di Roma antica attualmente occupata dalla basilica e dalla Città del Vaticano. Un circo realizzato da Caligola (37-41 d.C.) nei giardini ereditati dalla madre (gli Horti Agrippinae) e completato da Nerone (54-68), sviluppato in senso est-ovest, per adattarsi alla preesistente direttrice della Via Cornelia, costituiva l’unica emergenza architettonica in quest’area già suburbana. Caligola profuse particolare impegno per l’abbellimento di questo edificio da spettacolo, facendo giungere da Alessandria, su un’enorme nave appositamente costruita, l’obelisco egiziano che oggi vediamo in piazza S. Pietro; qui però il monolite fu portato soltanto alla fine del Cinquecento, quando fu rimosso dalla sua originale collocazione nei pressi del lato meridionale dell’attuale basilica. Il circus Gai et Neronis non conobbe comunque un lungo periodo di utilizzo: già nel II secolo sepolture monumentali occuparono lo spazio della pista, segnando la definitiva destinazione dell’area a necropoli.

Resti importanti di questa città dei morti che venne sviluppandosi in età imperiale sopravvivono al di sotto della navata centrale della basilica di S. Pietro. Già al momento dei lavori di fondazione dell’edificio rinascimentale furono individuati alcuni mausolei e strutture romane, ma soltanto la realizzazione di imponenti scavi sistematici, promossi da Pio XII a partire dal 1939, consentì di riportare in luce un tratto significativo dell’antica vasta necropoli (circa 70 metri di lunghezza per 18 di larghezza) che proseguiva almeno altri 300 metri verso la piazza e 50 metri verso l’abside della chiesa. Gli scavi vaticani erano promossi, in primo luogo, con l’intento di far chiarezza scientifica sul luogo di sepoltura del principe degli apostoli, san Pietro. I risultati delle ricerche andarono ben al di là di ogni aspettativa; fu infatti possibile non soltanto identificare la tomba di Pietro, ma anche dimostrare l’esistenza di una monumentalizzazione dell’area assai precoce (metà del II sec. d.C.), evidentemente legata a una già diffusa devozione e a un primo fenomeno di pellegrinaggio presso le reliquie del martire (vedi: AV n. 84).

Gli scavi misero in luce un recinto, inizialmente scoperto, di circa quattro metri per otto, nel quale furono scavate delle tombe a inumazione. In questo luogo, alla metà del II secolo, fu realizzata una semplice edicola funeraria, detta “trofeo di Gaio”, perché si identifica – come riferisce lo storico Eusebio di Cesarea (IV sec.) – con la «tomba gloriosa» di san Pietro celebrata dal diacono Gaio vissuto a Roma al tempo di papa Zefirino (199-217). Nonostante alcune modifiche, fra cui la costruzione del muro G (detto “dei graffiti” per le numerose iscrizioni devozionali incise), quest’edicola, nella cui nicchia erano state probabilmente traslate le ossa di Pietro dopo essere state riesumate dalla fossa terragna, rimarrà sempre il fulcro del culto all’Apostolo. Una sequenza verticale di monumenti eretti tutti nello stesso luogo, dalla prima struttura costantiniana, all’altare di Gregorio Magno (inizi VII sec.), all’altare di Callisto II (1123), a quello di Clemente VII (1594), hanno tramandato nei secoli l’esatta collocazione originaria della tomba, sulla cui verticale verrà infine eretta la lanterna dell’immensa cupola michelangiolesca. […]