Archeologia Viva n. 84 – novembre/dicembre 2000
pp. 86-88
di Giovanni Di Stefano
Una nave arredata come una ricca casa romana naufragò fra I e II secolo in Sicilia sui bassi fondali della costiera ragusana
Ora il gioco delle correnti e delle mareggiate ha spazzato i fondali rendendo visibile il prezioso carico al gruppo di ricerca del locale museo
Per ampi tratti i fondali della costa meridionale della Sicilia sono bassi e sabbiosi, fino a 100-150 metri, dalla battigia e molti antichi relitti giacciono in acque poco profonde, “spiaggiati”, coperti da un insabbiamento mobile. Per cui non è raro che dopo una mareggiata compaiano sul fondo resti di antichi naufragi. Tutto questo in passato si è verificato più volte nella baia di Camarina, sulla costa ragusana, allorquando, inaspettatamente, su tratti di fondale dove per anni non si era mai notato niente, sono apparsi il relitto della nave romana “delle colonne” o quello di una tafurrea medievale, e tantissimi oggetti appartenenti ad antichi carichi navali, come ben cinquemila antoniniani (monete del tempo di Antonino Pio, 138-161 d.C.), una statuetta di Arpocrate, un servizio da tavola in bronzo, resti di letti triclinari e una statuetta di Afrodite, risalenti al III sec. d.C. Il fenomeno si è ripetuto ancora di recente, riproponendo non facili problemi scientifici e di tutela e costringendo i responsabili della Soprintendenza per i beni culturali di Ragusa presso il Museo archeologico di Camarina a intervenire, per documentare la giacitura dei resti scoperti dal moto ondoso e per assicurare la salvaguardia degli stessi in operazioni definibili di vera e propria archeologia d’emergenza.
Veniamo dunque agli ultimi “affioramenti archeologici” nei fondali sabbiosi della baia di Camarina. A sud dei grandi relitti monumentali rinvenuti negli anni precedenti, lo scorso anno, su segnalazione del subacqueo Giuseppe Russo, sono stati scoperti pregiati oggetti figurati in bronzo di età romana, facenti parte di un carico naufragato (sono in corso le indagini per individuare il relitto, a cura della Sezione beni archeologici della Soprintendenza di Ragusa con la collaborazione della cooperativa Aquarius). I bronzi appartengono, con probabilità, a un larario e a una cambusa di bordo. Dal larario provengono una statuetta di Mercurio e il supporto di un’altra statua. La statuetta, integra, raffigura il dio giovane, nudo, incedente, con la clamide sulla spalla sinistra retta dall’avambraccio, la mano portata in avanti, stretta al corpo, con le dita aperte, probabilmente nell’atto di reggere il caduceo; il braccio destro è piegato al gomito, scostato dal corpo e portato in avanti, la mano regge una sacca gonfia. Il corpo è lievemente flesso, la gamba destra è puntata e tesa, la sinistra piegata e portata in avanti. Mercurio indossa il pètaso alato, dall’ampia falda, e calzari alti. Per la trattazione morbida delle superfici, per i tratti del viso, le grosse cavità orbitali, la forma del petaso ondulato, per la posizione della clamide e del braccio destro, il bronzo camarinese può essere attribuito a un’officina centroeuropea di cui è possibile individuare, per affinità stilistiche, altri pregevoli pezzi.
Fra i resti del larario di bordo con la statuetta di Mercurio e la zona della cambusa sono state rinvenute delle lucerne artistiche in bronzo che forse servivano per illuminare la cabina del comandante, il triclinio o lo stesso larario. La prima è una lucerna piriforme con il rostro unito al corpo e la caratteristica scanalatura per il recupero dell’olio pulito inavvertitamente versato in eccesso; il manico della lampada, ricurvo, è decorato con una protome ferina, forse un puma, le fauci spalancate, i denti aguzzi, le orecchie tese. Questa lucerna è un vero e proprio capolavoro, attribuibile a una delle tipiche produzioni campane dai manici desinenti con protomi animali. In un’altra lampada, sicuramente prodotta ad Alessandria d’Egitto, la presa ricurva è decorata con protome femminile che indossa un berretto frigio di tipo biconico. […]