Grande Sud. Viaggio nella Tunisia meridionale Fra Mediterraneo e Sahara

Archeologia Viva n. 83 – settembre/ottobre 2000
pp. 58-75

di Franca Cibecchini, Piero Pruneti, Gianfranco Purpura e Sergio Rinaldi Tufi

L’isola di Gerba le città romane il limes sahariano i villaggi e la cultura dei Berberi gli allucinanti deserti di sale i palmeti le dune e la sabia che avanza l’acquea e le oasi di montagna fino alle piscine di Gafsa
Un itinerario trasversale che alla fine diventa un eccezionale percorso in sezione in una realtà mediterranea di confine

Celebre per le bellezze naturali e al tempo stesso priva delle monumentali rovine che ne caratterizzano la parte settentrionale, la Tunisia del sud è invece altrettanto ricca di storia e non mancano siti di grande interesse archeologico ed etnografico. Questo è il luogo dove una veloce modernizzazione riesce ancora a convivere con tradizioni ataviche e con una natura selvaggia, appena addolcita da una cultura millenaria.

Comincia a Gerba il nostro viaggio (l’aeroporto ha normali collegamenti di linea con l’Italia), l’oasi galleggiante, l’isola dei Lotofagi cantata da Omero, l’isola giardino dalla ricca vegetazione che la distingue nel sud del Paese. Il nome deriva da latino Girba, ma i suoi primi abitanti furono Libici, come attestano le numerose haounet, le camere funerarie libico puniche scavate nella roccia. Di notevole importanza economica e strategica per tutta l’antichità, Gerba era rinomata per i frutti, il pesce e la produzione ceramica, tutt’oggi una delle maggiori produzioni artigianali dell’isola, concentrata nell’area di Quellala.

Il nome stesso del capoluogo, Houmt-Souk, ‘quartiere dei suo’, tradisce la vocazione commerciale. Il cuore della città vecchia è un dedalo di souk e fondouk (alloggi-magazzino) dove si trovano i prodotti dell’artigianato locale, in particolare i rinomati gioielli di tradizione berbera e quelli smaltati di tradizione ebraica. la massa imponente della fortezza, teatro nel XVI secolo delle gesta dei grandi corsari turchi Dragut e Barbarossa, che fecero dell’isola la loro base operativa, sembra ancora proteggere la città. In questa fortezza, oggi ben restaurata e imponente meta turistica, Dragut sconfisse gli invasori spagnoli nel 1560, dopo ben tre mesi di assedio. Sui moli del vicino porticciolo non si innalzano più i macabri trofei di Dragut (i teschi dei nemici disposti a piramide), ma montagnole di orcioli legati tra loro, testimoni del persistere dell’antica tradizione della pesca al polpo.

Attraversando la campagna in direzione di El Kantara, in un paesaggio segnato dalle nobili sagome delle palme da dattero, ecco gli ordinati appezzamenti a olivi e alberi da frutto, soprattutto fichi, delimitati da siepi, in parte ancora suddivisi nei vari menzel (tradizionale azienda agricola-fortezza di concezione autarchica) con gli antichi trappeti sotterranei. […]