La… vincibile fortezza di Macheronte Futuro del passato

Archeologia Viva n. 82 – luglio/agosto 2000
pp. 60-66

di Luigi Marino

Formidabile caposaldo militare ma anche palazzo reale e luogo di svaghi la fortezza dove fu decapitato Giovanni Battista è al centro di un progetto di recupero condotto dal Dipartimento di Storia dell’Architettura e Restauro di Firenze

Deve la sua fama alla decapitazione di Giovanni Battista ordinata da Erode Antìpa – secondo il racconto dello storico giudeo Flavio Giuseppe nelle sue Antichità giudaiche – ma nel corso della sua tormentata esistenza sono stati molti i personaggi che l’hanno frequentata avvolgendola in un alone di leggenda. Essa stessa è chiamata la “fortezza decapitata”, per la sua vicenda costellata di drammatiche distruzioni e ricostruzioni. Siamo in Giordania, regione di Moab, sulla cima dell’alta montagna isolata fra due profondi uadi dove si trovano le imponenti rovine della fortezza di Macheronte, in arabo qala’at al-Mishnaqa.

Il recupero di questo straordinario complesso monumentale è affidato a un progetto, il “Machaerus. Plan for restoration, maintenance and tourist development”, redatto dal Dipartimento di Storia dell’architettura e restauro delle strutture architettoniche dell’Università di Firenze, che si occupa della fortezza, dei resti lungo le pendici del monte (cave, cisterne e strutture difensive) e del villaggio di Mekawer, ancora abitato, dov’è previsto il recupero di alcune case tradizionali poste intorno alla chiesa (prima metà VI sec.) del vescovo Malechios. Fu proprio la scoperta di questa chiesa mosaicata, nel 1990 (scavi archeologici dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, diretti da Michele Piccirillo) ad avviare la valorizzazione di tutta l’area.

Indispensabile lo studio dei sistemi tradizionali. Le operazioni di restauro, rese inderogabili da gravi problemi di degrado, tengono conto della delicatezza dell’ambiente archeologico, per cui è ridotto al massimo l’uso di tecnologie e materiali moderni a vantaggio di procedure edilizie locali, secondo il principio della minima invasività e della massima reversibilità. L’abbandono – purtroppo ricorrente nei restauri di siti d’importanza storica – delle tradizionali procedure di costruzione e manutenzione produce danni irrimediabili; per questo nel “Machaerus. Plan for restoration” grande importanza è stata attribuita alla conoscenza tecnica dei manufatti, anche per programmarne la manutenzione ordinaria e prolungata nel tempo.

Le indagini preliminari riguardano: i materiali lapidei, intonaci e malte (spesso veniva utilizzata la cenere), gli apparecchi murari (muri a carreaux et boutisses, muri “a chiodo”, uso di zeppe regolatrici, bozze “in risalto” e “a campo graffiato”: tutti elementi che costituiscono il filo di continuità nella storia delle costruzioni dell’area e permettono un’attendibile datazione); le fessurazioni diffuse (stato di generale decoesione tra gli elementi), frane in atto o a rischio, perdita di verticalità dei muri, scalzamento al piede o deformazione in cresta per spinta delle terre; azione delle acque meteoriche e fenomeni di ristagno, colate di terreno superficiale dilavato, erosione per ruscellamento, dissesti per incuria e vandalismo, restauri sbagliati.

Le scelte operate per il restauro sono state caratterizzate da microinterventi di riordino, pulizia, consolidamento e trattamenti protettivi il cui collaudo, a distanza ragionevole di tempo, potrà deciderne l’adozione su scala più estesa. I lavori al vicino villaggio di Mekawer, da questo punto di vista, hanno costituito una prima esperienza di cantiere in vista dei più impegnativi e delicati interventi alla fortezza. Le strategie di restauro sono legate alla necessità di indicare un modo di operare, specificatamente conservativo, che dev’essere fatto accettare alle maestranze locali e collaudato alla luce dei risultati via via ottenuti. Come già accennato, è stata fondamentale la riscoperta di tecniche e materiali tradizionali, che si stanno rapidamente perdendo. […