Ricordando Luigi Bernabò Brea Personaggi

Archeologia Viva n. 81 – maggio/giugno 2000
pp. 82-85

di Autori Vari

A un anno dalla scomparsa si fa il punto sull’impresa condotta dal grande archeologo con un’attività di ricerca e valorizzazione del patrimonio culturale mediterraneo che ha occupato gran parte del XX secolo
E Lipari gli deve un monumento

È trascorso un anno dalla scomparsa di Luigi Bernabò Brea (Genova 1910 – Lipari 1999), uno dei più grandi archeologi del secolo, e sempre più si fa strada la coscienza del vuoto da lui lasciato. L’importanza della sua opera è legata non solo ai risultati conseguiti, ma anche alla sua forte carica innovativa, che fu certamente fondamentale per il superamento della grave crisi vissuta dall’archeologia italiana negli anni Trenta e Quaranta. La ricerca privilegiata degli aspetti storici e delle manifestazioni “alte” della cultura, che nelle componenti più vicine al regime fascista sfociava sovente nella retorica della romanità, si tradusse infatti, nel corso del Ventennio, in un progressivo scadimento d’interesse per le fondamentali tecniche di indagine stratigrafica e cronologica, nonché di documentazione, classificazione e analisi dei reperti anche più minuti.

Si può dire che il primo scavo stratigrafico moderno di un giacimento successivo al Paleolitico in Italia, che aprì la via al progressivo affinamento dei metodi di scavo tuttora in corso, fu quello compiuto da Luigi Bernabò Brea, insieme a Luigi Cardini, tra il 1940 e il 1942, nella caverna delle Arene Candide, in Liguria, dove era stato inviato dall’Amministrazione delle Antichità e Belle Arti nel 1939 per costituire la locale Soprintendenza. La situazione di estremo arbitrio in cui versavano, in particolare, gli studi interpretativi di preistoria e protostoria, prima che le acquisizioni dovute ai nuovi scavi delle Arene Candide venissero assimilate, può ben essere esemplificato dalle affermazioni di una figura allora autorevole come Biagio Pace, secondo cui «il Paleolitico perdurava nei monti della Liguria quando già Genova era in contatto con greci e romani». L’accurata esplorazione stratigrafica della grotta ligure consentì di impostare l’indagine cronologica delle facies preistoriche su ben altri fondamenti, evidenziando nell’ambito del Neolitico un’articolata sequenza in tre fasi principali (inferiore, medio e superiore), che è ancora alla base dei nostri studi, mentre l’esaustiva pubblicazione, uscita nel 1946, rappresentò un prezioso modello di edizione critica dei rinvenimenti. […]