Yemen: c’era una volta la Regina di Saba Nel mondo sudarabico

Archeologia Viva n. 81 – maggio/giugno 2000
pp. 58-79

di Debora Barbagli, Marco Livadiotti e Alessandro de Maigret

Da sempre un paese mediatore biologico e culturale che più di altri vive il contrasto fra incredibili sopravvivenze del passato e contatti ravvicinati con il terzo millennio
La mitica e reale Arabia Felix che nessun impero riuscì mai a conquistare

«Sono figlio dei deserti e della poesia», diceva il poeta arabo al-Mutannabi, nel X secolo, riferendosi allo Yemen, paese al limite meridionale della penisola arabica, profondamente segnato nel corso della storia dalla stessa posizione geografica. Al-Yaman in arabo significa ‘paese del sud’ e solo dal VI secolo il nome si riferisce a un’entità politico-culturale dell’Arabia meridionale, quella che nelle fonti classiche è l’Arabia eudaimon o Arabia Felix, in contrapposizione a quella petrosa e desertica del nord. Due grandi catene montuose, che con il Gabal an-Nabi Su’aib (vicino San‘a) toccano i 3760 metri di altitudine, corrono con i relativi altipiani da nord a sud, parallele al mar Rosso; una piattaforma alta fino a 1600 metri si estende invece in direzione est-ovest, mentre un’ulteriore platea più bassa incornicia a semicerchio il Rub‘al-Khali, il ‘quarto vuoto’, il grande deserto d’Arabia che si perde a settentrione. La zona tra le catene montuose occidentali e il deserto a est è stata la culla dell’antica civiltà yemenita.
A differenza di altre terre del Medio e Vicino Oriente lo Yemen non è stato oggetto di ricerche archeologiche fino a tempi recenti. Alla fine del XVIII e nel corso del XIX secolo si sono avute le prime esplorazioni che hanno raccolto importanti testimonianze epigrafiche, ma solo negli ultimi decenni l’attività delle numerose missioni straniere ha consentito un balzo decisivo nelle conoscenze storico archeologiche del Paese.

La frequentazione dei territori yemeniti durante il Paleolitico antico ha trovato valide prove nei depositi di pietra scheggiata, datati a 700 mila anni fa, rinvenuti lungo un affluente dell’uadi Hadramawt (l’immensa valle desertica che occupa la parte sudorientale del Paese). Successivamente, le varie fasi del Neolitico, attestate ovunque nel territorio, pur legate all’addomesticamento delle piante, vedono il perfezionarsi degli strumenti per la caccia e la comparsa dell’ossidiana, il “vetro” vulcanico, di conchiglie e di attività come la macinazione dei cereali; tra VI e IV millennio a.C. sembra diffusa un’economia pastorale con allevamento di buoi. La regione di Sa’da (nordovest) ha restituito le più antiche vestigia di arte rupestre yemenita (pitture e graffiti), prodotta dai cacciatori che trovavano riparo nelle cavità dei massicci rocciosi. Le rappresentazioni di animali si arricchiscono, con la fine dell’età neolitica (IV millennio a.C. ), di varietà nuove e della comparsa della figura umana. È importante notare come, anche nello Yemen, l’arte rupestre, vero fossile guida del passaggio dell’uomo, non si esaurisce con l’inizio del periodo storico.

L’età del Bronzo (III-prima parte II millennio) – individuata dalla missione italiana di Alessandro de Maigret una ventina d’anni fa – è caratterizzata da un forte contrasto tra regioni costiere, aperte alle influenze africane, e altopiani, inseriti in un sistema continentale di rapporti legato a Siria e Palestina. I numerosi siti messi in luce alle medie altitudini nelle zone attorno a San‘a e al-Jawf presentano case a due vani, aperti su una corte, e ceramica di uso domestico di colore rosso scuro con inclusi grossolani; siamo in presenza di comunità sedentarie dedite all’agricoltura e all’allevamento, ma anche aperte agli scambi, come testimoniano il materiale importato (bronzo, conchiglie, pietre semipreziose) e l’ubicazione di alcuni siti lungo le vie di comunicazione tra altopiano e deserto. Sono di questo periodo le tombe a torretta, diffuse in tutto il nord del Paese, il cui uso continuerà ininterrotto fino al I millennio a.C.: fanno parte del tipo di tomba a sovrastruttura circolare e sono costituite da una doppia cortina di pietre con copertura a lastroni.

La tradizione storica vedeva nell’arrivo di popolazioni semitiche, nella seconda metà del II millennio, la causa del successivo sviluppo della cultura Sudarabica. Una visione più corretta ha dimostrato come i nuovi arrivati abbiano trovato società di genti kushite già evolute sul piano politico e culturale e come i due gruppi (semitico e kushita) abbiano a lungo convissuto nella regione. Nella piana costiera del Tihama i numerosi siti archeologici hanno mostrato una omogeneità materiale riconducibile alla cultura di Sabr (dal nome della città nell’entroterra di Aden meglio nota dagli scavi), i cui inizi risalgono forse alla fine del III millennio e che persiste fino agli inizi del IX sec. a.C. È una cultura tipicamente costiera che evidenzia chiaramente stretti legami con le antistanti regioni africane.

Per quanto concerne lo Yemen interno, nelle zone a ovest del deserto di Ramlat as-Sab‘atayn, le indagini più recenti, tra cui lo scavo italiano nel sito di Yala, l’antica Hafari, hanno riportato in luce materiali sudarabici molto antichi, fra cui alcune iscrizioni su pareti di vaso datate al X-IX sec. a.C. Invece, le zone a est del Ramlat as-Sab‘atayn, comprese nella valle dello Hadramawt, mostrano ancora un forte legame con l’Arabia settentrionale e si è parlato una cultura Hadramawtica antica (1200-700 a.C. circa) su cui si impianterebbe verso la fine dell’VIII sec. a.C. una cultura Hadramawtica classica di influenza sabea. Il periodo protostorico vede dunque una cultura propriamente sudarabica Protosabea a ovest, sugli altopiani dello Yemen interno, e una cultura Protohadramawtica di ascendenza palestinese nelle zone orientali. […]