Gianicolo: le mani sul colle Roma 2000. Una città un monumento

Archeologia Viva n. 81 – maggio/giugno 2000
pp. 32-43

di Lorenzo Bianchi

La celebre altura romana in vista di San Pietro è stata oggetto di profonde aggressioni di cui la conclamata vicenda della rampa di accesso al parcheggio di Propaganda Fide costituisce solo uno degli episodi
Importanti testimonianze archeologiche sono state travolte nella radicale manomissione del colle luogo di significative memorie del primo cristianesimo

Il 17 agosto dello scorso anno, a Roma, durante i lavori per la costruzione di una rampa di accesso al parcheggio di Propaganda Fide, sul lato di via del Gianicolo, presso la basilica di San Pietro, sono venuti alla luce ambienti di una domus di epoca romana con muri intonacati e dipinti. Il blocco dei lavori è stato inevitabile. È cominciata così la lunga polemica, non ancora conclusa, che ha portato la vicenda sulle prime pagine degli organi di stampa. Inevitabilmente, il caso ha riportato l’attenzione su tutta la zona interessata dai lavori per il parcheggio sotterraneo all’interno del monte di Santo Spirito (così si chiama l’estrema collinetta che conclude a nord l’altura del Gianicolo, ora in gran parte proprietà della congregazione vaticana di Propaganda Fide), che si sono estesi in un luogo ricco di memorie e testimonianze storiche e archeologiche, distante da San Pietro appena trecento metri – dunque in pieno centro cittadino – ma paradossalmente poco considerato dagli studi storico-topografici, sia per quel che riguarda l’antichità classica, che per l’età medievale e il XVI secolo. Negli ultimi due anni questo luogo è stato ferito e offeso senza alcun rispetto per la sua storia: una storia che con ricerche di anni è stato possibile ricostruire, se non interamente, almeno per frammenti e periodi, grazie all’analisi dei testi antichi, a indagini topografiche, archivistiche e toponomastiche, e all’individuazione di sopravvivenze archeologiche, alcune delle quali sono andate distrutte proprio in questi ultimi mesi.

Cosa c’era – e in parte potrebbe ancora essere salvato – sulla collina di Santo Spirito e nelle sue immediate adiacenze vaticane? In epoca classica questa zona al di là del Tevere, prossima alla città ma a essa esterna, era in buona parte caratterizzata da horti (ville urbane, dove il giardino, geometricamente organizzato con viali, portici e terrazze, non è una dipendenza della domus, bensì l’elemento predominante), possesso di famiglie abbienti; e in parte anche da luoghi destinati a sepolture, in particolare nella piana più a nord, nel territorio attraversato dalla via Triumphalis. Nel 69 d.C. Tacito parla, forse proprio per questa piana e probabilmente in riferimento alla malaria, di infamibus Vaticani locis (Hist. II, 93), cioè di ‘malfamati luoghi del Vaticano’. Solo dal IV secolo in poi, per la presenza della basilica di San Pietro (edificata da Costantino tra il 320 e il 333), questa parte più settentrionale della zona inizierà a essere occupata anche da edilizia abitativa.

Le prime notizie abbastanza certe riguardo alla collina di Santo Spirito risalgono alla prima età imperiale, quando almeno le sue pendici settentrionali sono comprese nell’estensione degli horti di Agrippina, noti dalle testimonianze di Seneca (De ira III, 18, 4) e di Filone Alessandrino (Leg. ad C. 181). Il personaggio è Agrippina maggiore, madre di Caio Caligola, imperatore dal 37 al 41, il quale divenne proprietario della zona quando nel 33 la madre morì. Qui, probabilmente sul lato verso il Tevere, ora occupato dai fabbricati della curia generalizia dei Gesuiti, Caligola ricevette una delegazione di ebrei da Alessandria d’Egitto, venuti inutilmente a chiedere giustizia all’imperatore per le persecuzioni e le uccisioni di massa avvenute durante l’estate del 38 nella loro città, delegazione che l’imperatore cacciò tra minacce e insulti, come riferisce lo storico Giuseppe Flavio (Ant. Iud. XVIII, 259-260).

Degli horti faceva parte anche un circo, chiamato dalle fonti classiche “di Caio (Caligola) e di Nerone”, che si estendeva sotto la parte sud dell’attuale basilica di San Pietro: di esso si era persa la memoria fin dalla tarda età imperiale, ma la sua posizione è indicata dalla persistenza dell’obelisco (nel medioevo denominato agulia, vocabolo ricorrente anche nella toponomastica della zona) che si innalzava sulla spina, nella propria originaria collocazione fino al 1586, data in cui fu trasferito al centro di piazza San Pietro dove lo vediamo oggi. Il circo era con certezza al limite nord degli horti, poiché subito oltre il terreno era occupato da una necropoli, quella che, ora sotto la basilica, ospita la sepoltura di san Pietro.

Questi horti passarono, qualche anno dopo, nelle proprietà di Nerone (imperatore dal 54 al 68) e sono nominati in due passi di Tacito; infatti Nerone li aprì come rifugio al popolo che aveva perso la casa nell’incendio scoppiato il 19 luglio del 64 (Ann. XV, 39, 2) e, successivamente, vi martirizzò i cristiani, accusati di avere provocato l’incendio: «e per i cristiani che morivano s’aggiunse lo scherno: rivestiti di pelli ferine, perivano sbranati dai cani, o appesi alle croci e dati alle fiamme venivano bruciati vivi, al calar del sole, come torce per la notte. Nerone aveva messo a disposizione i suoi giardini per quello spettacolo, e aveva allestito giochi circensi, partecipando mescolato alla folla in vesti di auriga o in piedi sul carro» (Ann. XV, 44, 4-5). Dunque proprio qui, nel circo e sull’estrema collinetta alle pendici del Gianicolo, avvenne il martirio dei primi cristiani di Roma. […]