Ecce Homo Alle frontiere della conoscenza

Archeologia Viva n. 81 – maggio/giugno 2000
pp. 18-31

di Davide Domenici

Da dove veniamo? e dove andiamo?
Sono le domande più impegnative che rivolgiamo alla scienza le più vicine alle soluzioni metafisiche interrogativi che ogni essere pensante porta con sé
Ecco l’Uomo rispetto alle sue origini al suo pianeta al suo universo in una serie di riflessioni che nascono dalla lettura di un volume curato da Donald C. Johanson e Giancarlo Ligabue per aiutare il nostro ingresso nel terzo millennio

Il recente ingresso nel Duemila è stato occasione di previsioni e bilanci in ogni campo dell’attività umana. Ci si è spesso chiesti quali fossero le scoperte, le invenzioni, le opere d’arte o comunque i tesori della nostra memoria degni di far parte del bagaglio da portare nel terzo millennio. In questo clima la paleontologia umana, che studia il remoto passato dell’uomo, potrebbe dire la sua, farci riflettere sui lunghi processi evolutivi che ci hanno preceduto, e forse insegnarci qualcosa sul nostro futuro. Ma cosa ci può dire sul terzo millennio una scienza che gli anni li conta a milioni? Cosa può imparare l’uomo delle prossime generazioni da antenati remoti come l’Altiatlasius koulchii, il più antico primate a noi noto, che quasi sessanta milioni di anni fa si aggirava nel bacino di Ouarzazate, nel Marocco meridionale? Cerchiamo di capirlo, ripercorrendo i grandi eventi dell’evoluzione alla luce delle più recenti ricerche paleontologiche.

Le nostre origini remote possono essere fatte risalire a circa 55 milioni di anni fa, quando fecero la loro comparsa i primati più antichi. Ed ecco una prima sorpresa: la consueta immagine dei piccoli primati, simili a roditori, che sgambettano tra le zampe dei dinosauri è semplicemente un mito: la grande estinzione dei dinosauri precedette la comparsa dei primati di qualche milione di anni e dobbiamo rinunciare alla pur affascinante idea del piccolo animaletto, scaltro e innovativo, pronto a sconfiggere i lenti giganti in uno scontro che ricorda David e Golia. Piuttosto, è grazie alla grande estinzione di massa dei dinosauri e ai cambiamenti climatici che con essa sono coincisi che i primati poterono comparire in un mondo nuovo, teatro della loro progressiva affermazione. È significativo che la definizione stessa di primati sia altamente problematica e sia forse possibile solo sulla base di criteri negativi: in sostanza quel che distingue i primati dagli ordini a loro contemporanei è l’assenza di alcuni tratti specifici che indichino una qualche specializzazione. Vedremo come questa caratteristica, per quanto possa sembrare strano a noi che viviamo in un mondo iperspecializzato, sarà l’arma vincente dell’uomo e dei suoi antenati: non specializzarsi mai.

Possiamo osservare i pregi della non-specializzazione facendo un lungo balzo cronologico, nell’Africa orientale di circa 14 milioni di anni fa. Qui, come conseguenza di grandi sconvolgimenti geologici, il clima si stava facendo sempre più arido e le savane si sostituivano alle foreste tropicali. Solo chi non era troppo specializzato alla vita di foresta poteva adattarsi alle nuove condizioni e divenire un protagonista di quell’epopea evolutiva che ebbe come teatro appunto l’Africa orientale e che uno spiritoso paleontologo ha definito East Side Story. In questo caso il protagonista si chiama Kenyapithecus, un primate ben adattato alla vita di savana che avrebbe contraddistinto gran parte dei suoi discendenti.

Purtroppo la documentazione fossile è praticamente nulla per il periodo che separa il Kenyapithecus dalla comparsa dei primi australopiteci: è il lasso di tempo in cui la linea evolutiva che avrebbe portato agli australopiteci e all’uomo si separò da quella da cui hanno avuto origine gorilla e scimpanzé. Lo studio di questo momento cruciale del nostro passato è senza dubbio una delle sfide per la paleontologia del prossimo millennio. Finalmente, all’indomani di quasi dieci milioni di anni di “buio”, compaiono sulla scena africana gli ominidi, i primi attori del nostro passato. Il più antico di tutti è l’Ardipithecus ramidus, vissuto 4.4 milioni di anni fa e ritenuto probabile antenato di tutti gli ominidi successivi e in particolare dell’Australopithecus anamensis, anche lui scoperto di recente e datato tra 4.1 e 3.5 milioni di anni.

Sebbene la scarsità di forme fossili di questo periodo possa far pensare a un’evoluzione lineare, nella quale una forma evoluta sostituisce quella precedente, le cose si complicano con il proliferare delle forme australopitecine. Se già l’Australopithecus afarensis (Lucy, per intenderci) visse tra i 3.9 e i 3 milioni di anni fa e fu quindi in parte contemporaneo dell’A. anamensis, anche un nuovo australopiteco rinvenuto in Ciad (A. bahrelghazali) si colloca tra 3.5 e 3 milioni di anni fa. Come se non bastasse, tra 3.5 e 2.3 milioni di anni fa viveva anche l’Australopithecus africanus. […]