Teti: nella terra santa dei nuragici Dentro lo scavo

Archeologia Viva n. 80 – marzo/aprile 2000
pp. 98-103

di Maria Ausilia Fadda

Il territorio di questo piccolo comune del Nuorese occupa le cronache archeologiche della Sardegna da oltre un secolo per avere ospitato uno dei santuari più importanti degli antichi sardi e restituito un emozionante spaccato di vita nuragica

La recente scoperta di un idoletto fittile raffigurante una dea madre ripropone all’attenzione dell’archeologia il paese di Teti, un piccolo centro in provincia di Nuoro, arroccato sulle montagne della Barbagia.
In passato il territorio di Teti si era già messo in evidenza restituendo materiali di inestimabile valore culturale, tuttora fra i pezzi più pregevoli esposti al Museo nazionale di Cagliari. Ora, su un pianoro in località Atzadalai, durante lavori di bonifica, sono venuti in superficie diversi menhir in granito di tipo aniconico protoantropomorfo, asce in pietra, cuspidi di freccia in ossidiana, grattatoi, raschiatoi e una notevole quantità di schegge di lavorazione riferibili a un periodo che va dal Neolitico medio (4700 a.C.) al Neolitico finale (3000 a.C.).

Da Atzadalai proviene anche un idoletto femminile, ben levigato in roccia vulcanica di color bruno rossiccio, il cui profilo rivela l’intenzionale abbondanza del bacino, come nella maggior parte delle veneri steatopigie, le preistoriche “veneri grasse”, documentate in Sardegna. Se si considera l’irregolarità dei due lati posteriori del corpo e l’appiattimento del fianco destro che consente un perfetto piano di appoggio, la figurina può senz’altro essere interpretata come una “dea madre dormiente”, realizzata secondo una tecnica rappresentativa (di tipo “volumetrico ellissoidale”) che si ritrova nelle statuette femminili del Neolitico medio della Sardegna (4700-4000 a.C ).

Tuttavia, la fama di Teti rimane legata soprattutto alla scoperta, avvenuta oltre un secolo fa, di una stipe di bronzi votivi nel sito del villaggio nuragico di Abini dove sorgeva uno dei più importanti santuari federali dei protosardi, gli antichi sardi. Le cronache narrano che nel settembre del 1865 un ragazzo del luogo, ispirato da sogni ricorrenti, convinse alcuni contadini a fare ricerche in un terreno dove affioravano resti di antiche costruzioni.

Lo scavo portò in luce un deposito di oggetti votivi in bronzo contenuti in una cista litica. Il luogo del rinvenimento, chiamato Sa Badde de sa Bidda, ‘la valle del villaggio’, aveva una fama sinistra fra gli abitanti di Teti, come sede di spiriti maligni. Nello stesso 1865 il canonico Giovanni Spano pubblicò i materiali bronzei; questi vennero acquistati dallo studioso Efisio Timon, che a sua volta li donò al Regio museo di antichità di Cagliari. Nel 1878 – racconta lo storico e archeologo Ettore Pais – i contadini di Teti, disperati per il pessimo raccolto, ripresero a cercare nel sito di Abini trovando a un metro sotto terra un altro ricchissimo ripostiglio di oggetti in bronzo, pesanti in tutto 108 chili, contenuti in una grossa olla. Questa volta i reperti vennero acquistati da un altro studioso locale, Filippo Vivanet, per confluire ugualmente nelle raccolte del Regio museo di Cagliari. Sulla scia degli entusiasmi e degli interessi mossi dalla nuova scoperta, nel 1882 altre ricerche furono effettuate dall’ingegnere Leone Goin, appassionato di archeologia e noto collezionista.

L’ultimo, più datato, intervento di scavo ad Abini risale al 1929, condotto da Antonio Taramelli, soprintendente alle Antichità della Sardegna, che esplorò ad Abini un grande recinto con una fonte sacra e alcune capanne. L’antico temenos conservava parte dei sedili per i pellegrini che si recavano a quello che ora si veniva configurando come un grande santuario nuragico, costruito in una vallata nella quale confluivano importanti vie di transumanza tra le zone montane e la pianura di Ottana. Ma la presenza saltuaria del soprintendente Taramelli, che essendo responsabile per l’intera isola era costretto ad affidare lo scavo a gente spesso inesperta (venivano raccolti gli oggetti in bronzo e abbandonati nelle discariche i reperti ceramici e litici), compromise i risultati delle ricerche.

Nel 1981 sul santuario nuragico di Abini è intervenuta la Soprintendenza archeologica di Sassari e Nuoro, sotto la direzione di chi scrive, per il rilievo e la lettura dei resti architettonici accumulati sul posto. In prossimità del temenos giacciono numerosi conci (blocchi in pietra lavorati) in basalto e trachite, molti con la faccia a vista a sezione di cerchio, pertinenti a un originario pozzo sacro. Il tempio, attivo dal Bronzo recente (fine XIV sec. a.C.) alla piena età del Ferro (VII sec.a.C.), con i bronzetti che vi sono stati ritrovati (prodotti fra X e VII sec. a.C.), era infatti dedicato alla divinità dell’acqua. Ora il Comune di Teti intende ricostruire l’antica struttura ricollocando i blocchi nella posizione originaria. […]