Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 80 – marzo/aprile 2000

di Piero Pruneti

I vinti non scrivono la storia, ma la storia – o meglio la realizzazione perpetua delle identità, personali e “nazionali” – non può fare a meno di loro. È questa la riflessione di fondo, certo non originale, che credo emerga chiaramente dal complesso di articoli di questo numero, dove il messaggio archeologico ci propone in tutta la ricchezza delle loro diversità etniche e culturali alcuni popoli d’Italia, protagonisti regionali nell’epoca precedente la “normalizzazione” romana. Piceni, Sanniti, Etruschi, Sardi, Liguri. E ne mancano tanti altri, autoctoni e non, Dauni, Sicani…, i colonizzatori greci e fenici, i Celti cari a Bossi… Il tutto a formare un mosaico di incomparabile valore storico di cui alcune mostre in corso (e molte altre realizzate in passato) tentano di fornire una sintesi comprensibile. La storia di cui si parla è stata scritta praticamente per intero dai vincitori, dagli autori latini, in pagine talvolta di alta letteratura (vedi a p. 90 l’indimenticabile passo di Tito Livio sulle Forche Caudine) dove i popoli sconfitti, nel migliore dei casi, assurgono a ruoli di momentaneo coprotagonismo, in un gioco saldamente condotto da Roma. Si può ben dire che alle genti conquistate i Romani “tagliavano la lingua”, con un processo graduale, ma sistematico e ineludibile, di assimilazione.

Il caso più eclatante ci è offerto dagli Etruschi, fra i popoli più civili del Mediterraneo antico, ridotti in un breve volgere di secoli a civiltà muta, la cui scrittura sappiamo bene quanta fatica ricostruttiva stia richiedendo agli studiosi della nostra epoca. Solo con i Greci, smisuratamente più colti e dotati di un bacino vastissimo di utenza linguistica, i Romani non ci riuscirono. Anzi… E tuttavia le antiche culture italiche, insieme al vissuto dei loro popoli, non sparirono nel nulla. Ce lo dimostra sempre più la ricerca archeologica e, in definitiva, il fatto stesso che, pur vivendo nell’eredità culturale di Roma, dentro di noi sentiamo più vicini e familiari gli antenati italici, ancora vivi in quei substrati irriducibili che sono le mute culture dei vinti.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”