Monumenti in guerra Archeologia e diritto

Archeologia Viva n. 79 – gennaio/febbraio 2000
pp. 88-89

di Fabio Maniscalco

I recenti avvenimenti hanno evidenziato le carenze normative e – ancor più – operative per il rispetto dei beni culturali in caso di conflitto

Ex Jugoslavia, ancora una guerra in cui, oltre alla popolazione civile, a fare le spese è stato il patrimonio culturale delle etnie in lotta. Proprio quel patrimonio al quale il diritto internazionale riconosce il «contributo alla cultura mondiale» e al quale la Convenzione de L’Aja del 1954 – tutt’oggi in vigore – dovrebbe garantire la tutela in caso di conflitto. Purtroppo, se è difficile in periodo di pace preservare i beni culturali dal logoramento, da furti e saccheggi, tale difficoltà si fa drammatica nel corso di una guerra, quando l’astio verso l’avversario e lo stato di indigenza spingono le parti ad azioni aberranti, in contrasto col diritto umanitario.

La Convenzione de L’Aja per la protezione dei beni culturali prevede in caso di guerra due forme di protezione, «generale» e «speciale». Con la prima si offre al monumento il «rispetto» dello Stato nemico. Tale «protezione generale» viene garantita tramite la salvaguardia preventiva (da realizzare in tempo di pace) da parte degli Stati, che si prendono l’impegno di non utilizzare (in tempo di guerra) i beni storico-artistici e monumentali per fini che potrebbero esporli a distruzione; al tempo stesso la nazione nemica deve astenersi da qualsiasi atto di aggressione, rappresaglia, furto, saccheggio, sottrazione o vandalismo ai danni di questi stessi beni.

Invece, la «protezione speciale», che si esplica attraverso l’impegno delle alte parti contraenti di garantire l’immunità dei beni culturali a essa sottoposti, è applicabile per un numero limitato di rifugi, atti a proteggere reperti, centri monumentali e immobili di notevole valore culturale, e viene accordata al singolo sito con l’iscrizione nel Registro internazionale dei beni culturali sotto protezione speciale. Essa contempla la possibilità di effettuare trasferimenti di beni mobili che, in tal modo, godono dell’immunità dal sequestro, dalla cattura e dalla presa insieme ai mezzi impiegati per il trasporto. Per essere sottoposti a «protezione speciale» i beni devono trovarsi a distanze adeguate da centri industriali o punti sensibili e non devono essere usati per fini militari.

Ulteriori tentativi di fronteggiare il traffico illecito di oggetti storico-artistici si ebbero con la redazione, sempre nel 1954, di un Protocollo, separato dalla Convenzione de L’Aja e soggetto ad autonoma ratifica, e con l’adozione della Convenzione di Parigi del 1970 che definisce illegali l’esportazione e la traduzione forzate di beni culturali a seguito di occupazione di un territorio straniero (Art. 11).

Per facilitare l’identificazione di monumenti, strutture e mezzi posti sotto «protezione semplice» o «speciale», l’articolo 16 della Convenzione de L’Aja prevede un segno distintivo. Esso può essere impiegato, ripetuto tre volte in formazione triangolare, per segnalare i beni culturali posti sotto «protezione speciale», per indicare il trasporto di beni culturali e nel caso di rifugi improvvisati. Il suo utilizzo è facoltativo in periodo di pace, obbligatorio in caso di guerra.

Le crisi in Corea, in Cambogia, in Vietnam e più recentemente in Iraq e nei Balcani hanno manifestato quanto le norme della Convenzione de L’Aja siano desuete e di difficile attuazione; inoltre hanno evidenziato come le cause che hanno provocato la distruzione del patrimonio culturale immobile e il trafugamento di quello mobile di tante nazioni in lotta vadano ricercate anche nella disattenzione, da parte degli Stati ratificanti, ai principi stabiliti dalla Convenzione stessa. Basti riflettere sul segno distintivo previsto dall’articolo 16, che in Bosnia fu esposto in maniera errata solo all’esterno di pochissimi musei e rifugi improvvisati, per essere anch’esso crivellato dal fuoco dei cecchini. In Albania, in Iraq e nella Repubblica Federale Jugoslava tale segno era addirittura sconosciuto a buona parte dei dipendenti del Ministero della Cultura. […]