Antonio Mario Radmilli: l’uomo e la Preistoria Personaggi

Archeologia Viva n. 79 – gennaio/febbraio 2000
pp. 84-85

di Renata Grifoni Cremonesi

In oltre mezzo secolo di attività ha segnato con il suo metodo e il suo stile le indagini sul nostro più antico passato

Non è facile sintetizzare un’opera che abbraccia tutti i campi della preistoria per quasi mezzo secolo di ricerca ininterrotta. È comunque doveroso, a quasi due anni dalla scomparsa, ricordare sulle pagine di «Archeologia Viva» Antonio Mario Radmilli, indimenticabile figura di scienziato e maestro.

L’uomo e il suo ambiente. Radmilli affrontò lo studio della Preistoria con il metodo proprio della Paleontologia umana, giovandosi cioè dei mezzi offerti dalle scienze naturali per lo studio degli ambienti e delle situazioni climatiche del passato. Negli anni Cinquanta agivano in Italia personalità quali Paolo Graziosi, Piero Leonardi, Ezio Tongiorgi, Gian Alberto Blanc e Alberto Carlo Blanc, legati alla tradizione della scuola fiorentina, che aveva dato origine, prima con Paolo Mantegazza e poi con Aldobrandino Mochi, al Comitato per lo studio della Paleontologia umana in Italia, in cui forte era l’apporto delle scienze naturali e che per la prima volta aveva coniato il termine di Ecologia preistorica. Nella scia di questa tradizione si era formato Radmilli, e la sua opera ha preceduto di molti anni quelle che in tempi recenti sono apparse come novità di scuola anglosassone: si intendono proprio le metodologie legate all’Ecologia preistorica, che non limitavano le ricerche a un singolo sito o aspetto culturale, ma intendevano aprire una più vasta visione del rapporto fra l’uomo e l’ambiente nelle varie epoche in diversi territori.

Radmilli operò in varie regioni italiane (Lazio, Campania, Puglia, Friuli Venezia Giulia), ma le sue ricerche in Abruzzo, in particolare nel bacino del lago prosciugato del Fùcino, rappresentarono, nella seconda metà degli anni Cinquanta, uno dei momenti più avanzati della ricerca paletnologica italiana per i parametri di carattere naturalistico e ambientale da Lui applicati già allora. L’indagine sistematica di un territorio veniva ora, per la prima volta, accompagnata dall’utilizzazione delle datazioni radiometriche e dall’analisi di tutti i dati necessari alla ricostruzione paleoambientale, quali ad esempio lo studio della sedimentazione ciclica del pietrisco, delle variazioni delle linee di riva, dei mutamenti delle faune: tutti elementi che portarono a tracciare un quadro, ancora oggi valido, della storia delle successioni umane nel Fùcino e delle cause che determinarono i mutamenti culturali nell’area dell’antico grande lago abruzzese. Ricordo le esplorazioni nelle grotte Di Ciccio Felice, Maritza, Ortucchio, La Punta, Tronci e Maurizio, La Cava e San Nicola, grazie alle quali fu possibile tracciare un quadro delle successioni umane da 18.000 anni fa all’epoca romana, viste nel quadro più ampio dei mutamenti climatico ambientali e dei relativi adattamenti dei diversi gruppi umani alle modificazioni dell’ambiente. Ha origine dagli studi su queste grotte del Fùcino – e di quelle della penisola sorrentina – la nuova interpretazione che negli anni Sessanta venne data al Mesolitico, quale fenomeno dovuto alle diverse risposte dell’uomo al Tardiglaciale. […]