Il cammino di Harwa: l’uomo di fronte al mistero Scavi italiani a Tebe ovest

Archeologia Viva n. 79 – gennaio/febbraio 2000
pp. 18-31

di Francesco Tiradritti

Il rapporto dell’uomo con la morte è il messaggio umano e toccante che ci giunge dalla tomba di quello che probabilmente fu un autentico “viceré” durante la sovranità dei faraoni sudanesi
Sotto il profilo storico il monumentale sepolcro di Harwa – dove lavora una missione archeologica italiana – porta luce su uno dei periodi più oscuri dell’antico Egitto

La necropoli dell’Assasif si estende dal tempio funerario di Mentuhotep II Sehetepibra (sovrano dell’XI dinastia, vissuto alla fine del XXI sec. a.C., cui si deve la riunificazione dell’Egitto dopo il Primo Periodo Intermedio) fino alla striscia di terreno coltivato che costeggia la riva ovest del Nilo, proprio di fronte a Luxor. Essa comprende tombe del Medio Regno (2064-1797 a.C.) e del Nuovo Regno (1550-1075 a.C.), ma fu utilizzata principalmente come luogo di sepoltura dai più alti funzionari tebani nel corso della XXV (775-653 a.C.) e XXVI dinastia (664-525 a.C.).

Tra questi ultimi, il primo a decidere di scavare la propria tomba nel duro calcare della piana dell’Assasif fu Harwa, Grande maggiordomo delle Divine adoratrici Amenirdi I e Shepenupet, vissuto tra il 720 e il 680 a.C., durante la XXV dinastia. Egli diede così il via a una tradizione che si sarebbe mantenuta per almeno due secoli. Il suo ipogeo è uno tra i più vasti di tutto l’Egitto e supera in estensione la maggior parte delle tombe che i sovrani del Nuovo Regno (1550-1075 a.C.) si erano fatti scavare nella roccia della non distante Valle dei Re. Proprio queste erano state le ultime a essere realizzate in scala monumentale nella regione di Luxor. Nel corso della XXI e XXII dinastia (1075-718 a.C.) si era infatti intensificata la spoliazione, già in atto a partire dall’età ramesside (XX din.), dei sepolcri delle necropoli tebane.

Le continue scorrerie dei tombaroli dell’epoca avevano portato a un cambiamento negli stessi costumi funerari ed era quindi invalsa la consuetudine di inumare i defunti all’interno di sarcofagi riccamente decorati e provvisti di pochi oggetti di corredo, in sepolture collettive prive di qualsiasi decorazione. La tomba di Harwa segna perciò il ritorno alla realizzazione di sepolture di grandi dimensioni: è la prima, dopo trecento anni, a essere pensata in così ampia scala e con una ricca decorazione.

La preminenza della scelta di Harwa fu riconosciuta dai suoi successori e la sua tomba divenne una sorta di centro per tutta la necropoli dell’Assasif. Akhimenru, un altro Grande maggiordomo, scelse di allargare una parte incompiuta dello stesso ipogeo di Harwa per ricavare il proprio sepolcro. Due altissimi funzionari tebani, Montuemhat e Petamenofi (la tomba di quest’ultimo è la più grande di tutta la necropoli tebana) decisero di scavare i loro immensi monumenti funerari rispettivamente a est e a ovest di quello di Harwa. Le tombe di Padineith e Pabasa (due Grandi maggiordomi di Divine adoratrici, le cui tombe sono però in scala molto ridotta rispetto a quelle dei predecessori), vissuti ormai in piena XXVI dinastia (664-525 a.C.), furono invece sviluppate in modo che la sala ipostila finale terminasse a pochi centimetri dall’ala settentrionale del corridoio che circonda il livello sotterraneo dell’ipogeo di Harwa.

Nonostante la grandezza del suo monumento funerario e l’importanza che a esso attribuirono i funzionari tebani delle epoche successive, Harwa resta una figura enigmatica per la storia egizia. Le sue fattezze sono ben note grazie a otto statue conservate nelle maggiori collezioni di arte egizia del mondo (Assuan, Berlino, Cairo, Lipsia, Londra e Parigi). La più realistica lo ritrae come un uomo anziano dalla testa rasata e dal viso largo ed espressivo: gli occhi sono a mandorla e lo sguardo è penetrante. La bocca ha labbra sottili e il corpo è pingue, a dimostrazione del raggiungimento di un alto grado di prosperità.

Le poche notizie in nostro possesso sulla vita di Harwa sono desumibili proprio dai testi geroglifici incisi sulle sue statue. Sappiamo in questo modo che nacque in una famiglia legata al clero del dio Amon-Ra. Suo padre, un sacerdote, si chiamava Padimut, sua madre Nestauret. Una delle prime cariche ricoperte da Harwa fu quella di “ciambellano”, un titolo che gli conferiva un ruolo di secondo piano all’interno dell’apparato statale tebano. […]