Legno bagnato Archeologia subacquea

Archeologia Viva n. 25 – dicembre 1991
p. 71

di Giovanni Lattanzi

Si è svolto a Roma un incontro sulla conservazione dei manufatti in legno rinvenuti in ambiente acquatico

Si tratta di reperti di importanza straordinaria per l’archeologia subacquea e navale ma che presentano estreme difficoltà di trattamento

Gli scafi delle antiche navi naufragate costituiscono uno dei reperti archeologici di maggior bellezza, oltre ovviamente a essere di straordinaria importanza per gli studiosi, ma sono anche tra i manufatti più difficili da conservare.

Il legno che si è mantenuto intatto per millenni sul fondo del mare, protetto dalla sabbia o dal fango, o addirittura dallo stesso carico della nave, una volta recuperato, se non è sottoposto a procedimenti di conservazione, tende a degradarsi con una rapidità incredibile.

Allo stato attuale delle conoscenze, ci sono ancora molte incognite riguardanti la reale affidabilità dei vari metodi di conservazione; i dubbi investono non soltanto l’efficacia dei vari procedimenti di deidratazione o di sostituzione dell’acqua, ma anche la loro capacità di non modificare le dimensioni degli stessi reperti.

Il metodo più diffuso è quello che prevede l’impiego di una sostanza chimica di sintesi, il polietilenglicole, meglio noto come PEG, che va a sostituire pian piano l’acqua che impregna il legno, ma i tempi necessari per questo tipo di trattamento e il costo, particolarmente elevato, lo rendono di difficile impiego, in particolare su oggetti di grandi dimensioni, come sono le navi.

Nel nostro paese sono stati recuperati numerosi scafi, e alcuni di loro non versano certo in buone condizioni, proprio a causa dei problemi inerenti la scelta e l’applicazione di un trattamento di conservazione.

I nostri fondali conservano ancora numerosi relitti di navi e così pure le acque interne; fiumi e laghi, sono ricchissimi di manufatti lignei, come le piroghe di Bolsena, o le strutture portuali che costellano il Tevere da ponte Milvio fino all’attuale Magliana, giusto per fare alcuni esempi.

In alcuni casi si preferisce evitare il recupero, rinviandolo a tempi migliori, al momento cioè in cui i metodi di trattamento saranno perfezionati al punto da garantire la conservazione. […]