Quei lontani trulli di Saros Civiltà sul mare

Archeologia Viva n. 21 – luglio/agosto 1991
pp. 10-19

di Giorgio Marchetti

Su un’isoletta sperduta nella parte più ventosa dell’Egeo abbiamo visitato Palatia con il mistero delle sue architetture che ci riportano ad altri più noti ambienti mediterranei

Palatia, questo spettacolare insediamento, sullo sperduto isolotto di Saros a Nord di Karpathos, tra Creta e Rodi, sembra avvalorare la suggestiva intuizione di Spyros Asdrachas, che parla delle isole greche dell’Egeo come di una “città liquida”, per la organica rete di interscambi, connessioni, reciproche dipendenze, assimilabili a un tessuto urbano.

Resta da svelare perché qui e solo qui in tutto l’Egeo siano state adottare tecniche costruttive e particolari architettonici che si ritrovano nelle tombe micenee, in edifici preistorici dell’Eubea, nei trulli pugliesi, in alcune abitazioni della Provenza, in un villaggio vicino ad Aleppo (Siria) e addirittura in Mesopotamia, come conferma un bassorilievo del 1200 a.C. proveniente da Koioundjik e attualmente conservato al Louvre.

Sono appunto queste abitazioni, distribuite in ordine sparso sui due versanti di questa stretta vallata, ad apparire per prime quando si arriva nel piccolo porto naturale di Palatia. In alto, una candida cappellina si affaccia vigile da una roccia a strapiombo, contro il cielo terso, perennemente spazzato dal meltemi.

Appena a terra, si è subito attratti dalla bianca volta a botte di una chiesa, semisommersa dalla fitta macchia mediterranea, la costruzione più grande e importante della città, adesso lunga solo 16 metri, ma costruita sulle fondamenta di una basilica paleocristiana lunga il doppio, probabilmente distrutta da un terremoto intorno al VI secolo.

Del vecchio edificio è rimasto il sintronon (zona dei troni vescovili disposta a semicerchio dietro l’altare), ben visibile all’esterno dell’attuale abside.

È probabile che abbia subito pochi rimaneggiamenti nel corso dei secoli, se all’inizio del ‘900 M. Dawkins (Note from Karpathos, 1902) la descrive in perfetto stato di conservazione. In precedenza L. Ross nei suoi Reisen del 1845 aveva citato soltanto una chiesa chiamata Santa Sofia con pavimentazione in mosaico, ma non aveva fatto cenno al sintronon, forse ancora nascosco dall’inpenetrabile macchia di rovi e mirto. […]