Il Sahara racconta Sui sentieri della Preistoria

Archeologia Viva n. 20 – giugno 1991
pp. 36-49

di Pietro Laureano

Nel silenzio irreale del deserto tra le montagne degli Hoggar e gli sconfinati altopiani dei Tassili sopravvivono le tracce dell’antica avventura umana in un Sahara umido e rigoglioso

Il “tempo prima della storia” è visualizzato sulle incisioni e pitture rupestri ma affiora anche nei racconti dei nomadi tuareg durante le soste della carovana

Percorrere da Tamarasset a Djanet l’antica pista dei carri sahariani è come effettuare un viaggio alle origini dell’uomo e della cultura, seguendo tra paesaggi grandiosi e apocalittici un itinerario sulle tracce ancora intatte di nostri lontani predecessori.

I punti di sosta e di approvvigionamento sono sempre quelli che hanno decorato i gruppi preistorici, affidando la loro arte e le loro narrazioni alle nere rupi di basalto e alle rosse pareti di arenaria.

Il deserto ha conservato e tramandato: quelle immagini ci comunicano ancor oggi le avventure e i giochi, i timori e le gioie, le credenze e le scoperte, le inquietudini e le speranze dei protagonisti di quel mondo lontano.

La compagnia dei Tuareg che fanno da guide in questo immenso parco nazionale dell’Algeria aggiunge all’esperienza delle pitture l’incontro con la sapienza degli ultimi grandi nomadi.

«È stato un africano a portare per primo il fuoco agli uomini», dice Ibrahim protendendo le mani verso le fiamme come accarezzandole, assorbendo con le palme aperte ogni minima radiazione di calore, secondo la maniera tuareg di riscaldarsi.

Fatalità dei luoghi? Siamo accamapati tra alti pinnacoli di arenaria affrescati e graffiti presso i pozzi di Tin Tarabine, tappa obbligata da secoli immemorabili verso i centri rupestri dei Tassili degli Ajjer e la mia guida, vecchio amico tuareg, inizia un racconto che sembra scaturire da quegli stessi dipinti sulle rocce: «Un tempo gli uomini non conoscevano il segreto del fuoco e avevano la coda».

Incuriosito, il mio sguardo va alle rappresentazioni di personaggi zoomorfi dalle teste e dagli arti bestiali che i bagliori delle fiamme strappano a tratti alle pareti buie del nostro riparo.

«Sì, come gli animali, gli uomini vivevano allo stato brado, cacciando nella boscaglia senza mai potersi riscaldare al tepore delle braci. Non lontano da loro abitava un popolo di giganti che possedeva il fuoco, ma non voleva darlo agli uomini.

Finché un giorno Fanta Dinghè, il cantastorie, decise di andarlo a prendere di persona. I giganti stavano per scacciarlo, ma lui li incuriosì con smorfie e scherzi finché, tra una buffonata e un passo di danza, la sua lunga coda finì sui carboni ardenti.

Fanta Dinghè prese a gridare e a saltare più forte e, mentre i giganti ridevano a crepapelle, corse via con la coda accesa. Così gli uomini ebbero il fuoco e persero la coda consumata dalle fiamme. L’impresa del furto del fuoco – conclude Ibrahim – è tramandata dalle leggende e dalle pietre dipinte del Sahara e si rinnova negli scherzi degli sciamani-buffoni intorno ai bivacchi».

L’umanità abbandonò così la propria componente selvaggia e bestiale e, con il fuoco, dilatò il tempo quotidiano allungando la giornata oltre il cadere delle tenebre, scoprendo il tepore della vita comunitaria e stabile, l’impotanza della parola, degli alimenti cucinati, della socialità e dell’arte.
È una bella immagine che, come in una favola, propone uno sviluppo lineare del genere umano, capace con la tecnica di progredire continuamente verso tappe più elevate. Ma qualcosa non quadra.
Il fuoco è stato usato tra gli ominidi già 400 mila anni fa e dall’uomo di Neanderthal 200 mila anni fa, senza essere usato per scaldarsi e per cuocere gli alimenti. È soltanto molto più tardi dal 30 mila al 10 mila a.C. che gruppi diversi lo utilizzarono per la cucina ed eseguirono rappresentazioni artistiche. Perché allora quei primi focolari?

Joseph Campbell nella sua Mitologia primitiva sostiene che per centinaia di migliaia di anni l’uso del fuoco sia rimasto solo rituale, che la scoperta e la sua diffusione some manifestazione simbolica e religiosa vengano prima dell’uso pratico.
Le sue intuizioni anticipano le ipotesi, oggi sempre più attuali, che nella storia dell’umanità le invenzioni seguano motivazioni e sentieri creativi autonomi rispetto alle loro applicazioni pratiche. […]