La voce degli Aztechi Una scoperta rivoluzionaria

Archeologia Viva n. 19 – maggio 1991
pp. 24-35

di Alberto Siliotti

Straordinario! Ritenuti finora delle semplici “raccolte d’immagini” i codex mesoamericani nascondevano il segreto della lingua azteca scritta

I disegni in essi contenuti sarebbero una forma di scrittura adesso interpretabile grazie alla geniale intuizione di uno studioso messicano

Per l’importanza che rivestirà nella comprensione della antiche civiltà dell’America la scoperta si può paragonare a quella di Champollion sui geroglifici

Chi sono oggi i decifratori delle scritture perdute, gli Champollion del XX secolo che dedicano la loro vita e il loro sapere all’inseguimento di un sogno, cercando di penetrare i segreti della parola scritta di antichi popoli? Joaqìn Galarza, un tranquillo signore corpulento e bonario di mezza età, messicano di origine e francese di adozione, è uno di questi.

Apparentemente non ha nulla dello scienziato geniale, né dell’archeologo che vive rintanato tra le centinaia di volumi del suo universo bibliotecario. Eppure Galarza è colui che è riuscito a penetrare nel misterioso mondo della parola scritta degli antichi aztechi, ridando così la voce a un enorme archivio rimasto muto per secoli prima della sua scoperta, come già fece quasi due secoli da il “Decifratore” con la scrittura geroglifica egizia.

Lo conobbi una sera all’Ateneo Municipale della splendida e borghese città di Bordeaux, dove, avanti a un foltissimo pubblico esponeva con semplicità disarmante i risultati sensazionali di quarant’anni di studi effettuati sulla lingua azteca scritta: un mondo nuovo e insospettato, dove forma, colore e suoni si compenetravano, si apriva davanti ai nostri occhi.

La genialità di Galarza, che aveva incominciato le ricerche nel 1958, era stata nell’intuire che i disegni dei codex aztechi non rappresentavano solo scene di vita quotidiana o episodi storici, ma che erano una vera e propria scrittura nella quale le forme e i colori stessi avevano significato fonetico: esisteva – secondo lo studioso messicano e contrariamente a quanto si riteneva comunemente – una lingua azteca scritta, con forme e regole grammaticali e sintattiche proprie; una scrittura che non si articolava in linee rette o in colonne verticali od orizzontali, ma in uno spazio plastico e che rappresentava una invenzione culturale unica nella storia dell’uomo. […]