Naufragio a Baratti Lo scavo del relitto "B" o "del Pozzino"

Archeologia Viva n. 19 – maggio 1991
pp. 10-23

a cura della Soprintendenza Archeologica della Toscana

Era il II secolo a.C. e all’imboccatura del piccolo golfo di Populonia a poche centinaia di metri dal porto dell’antica città etrusca affondava una nave romana dal carico eterogeneo ed in parte misterioso per noi

Di particolare importanza il rinvenimento di oggetti riferibili alla probabile presenza di un medico a bordo dell’imbarcazione

Sono state necessarie tre campagne di recuperi (1982, 1989 e 1990) per far riaffiorare dal Golfo di Baratti, antistante Populonia – una delle più antiche e floride città etrusche – le centinaia di reperti che erano gelosamente custoditi in una nave romana del II sec. a.C.

Si tratta di una fra le più importanti e sorprendenti scoperte archeologiche dell’ultimo decennio. Più che di una nave da trasporto, sembra si trattasse di una sorta di “emporio medico” viaggiante, con un inedito campionario di oggetti inconsueti e “prodotti” misteriosi: cosmesi e pharmka, vini e spezie.

Le centinaia di reperti sono quanto mai diversi per tipologia e funzione: anfore vinarie e flaconi di essenza ancora sigillati, strumenti di medicina, rarissime coppe di vetro e preziose ampolle, lucerne di bronzo. Sono stati recuperati anche rami di vitis vinifera e noccioli di olive.

Il tipo di anfore rinvenute viene oggi considerato come il prino genere di contenitore da trasporto propriamente romano: tali anfore, infatti, sostituirono fra il 145 e il 135 a.C. quelle del tipo “greco-italico”, che avevano dominato i mercato del Mediterraneo dalla fine del IV sec. a.C. Erano contenitori molto possenti e robusti, adatti ad affrontare non solo viaggi marittimi ma anche i più accidentali percorsi terrestri.

Tra i materiali del carico della nave sono stati recuperati anche un’anfora intera e due frammenti di anse, con bolli impressi a rilievo, pertinenti a un’anfora dello stesso tipo, sicuramente prodotte nell’isola di Rodi.

Il relitto era stato localizzato e preliminarmente definito nel 1974 dal Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina diretto da Nino Lamboglia; fu accertato trattarsi di un’imbarcazione di epoca romana, con piccola parte del fasciame emergente dal fondo sabbioso.

Nel 1982 fu segnalata la presenza di saccheggiatori sul relitto. Antonella Romualdi, ispettore archeologo di zona, organizzò subito una prospezione, per accertare i danni compiuti; si decise di effettuare un intervento di urgenza (aprile 1982), diretto dalla stessa studiosa.

Alla fine della campagna, la parte scoperta del relitto fu protetta con sabbia, sciolta e in sacchi, ad evitare incursioni vandaliche o ladresche.

Coordinata dal soprintendente Francesco Nicosia, si costituiva allora nella Soprintendenza Archeologica della Toscana una piccola efficiente squadra di operatori subacquei, comprendente personale scientifico e tecnico variamente specializzato.

Lo scavo scientifico del relitto “B” o “del Pozzino” ha posto, sin dalla prima campagna del 1982, una serie di interessanti problematiche tecniche.

La nave, della fine del II sec. a.C., è adagiata su un fondale di circa 18 metri, inserito in un contesto geomorfologico tipico del golfo di Baratti: larghi banchi di radici di posidonie alternati a sacche di sabbie incoerenti.

La posidonia è una pinata della famiglia delle Potamogetonacee o Naiadacee, che forma vere e proprie praterie sui fondali arenosi e fangosi sotto le coste; è presente da una profondità di un paio metri sino ai 30-40 metri.

Queste alghe hanno radici fortissime e intricatissime, che arrivano anche a uno spessore di 6 metri per un’alga alta non più di 60 centrimetri. Questo durissimo intrico di radici è definito con termie tecnico: “matta”.

Una parte del relitto giace appunto sotto un banco di radici di circa 2 metri; l’altra cospicua parte è coperta soltanto da pochi centimentri di “matta”. Ciò si ipotizza che possa essere dovuto a due fattori diversi: il primo a una minore inclinazione dello scafo verso il fondale e l’altro legato all’annoso e irrisolto problema dei clandestini che per anni, prima del 1982, hanno scavato con colpevole determinazione, liberando buona parte del relitto dalla radice di posidonia. […]