Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 18 – aprile 1991

di Piero Pruneti

C’era una volta un mare meraviglioso: il più affascinante del mondo, non fosse che per il lungo vissuto. Un mare che sapeva parlar di umanità come un vecchio sapiente, solcato da eroi, cantato da poeti immortali, abitato da popoli a cui dobbiamo quasi tutto quello che siamo oggi.

Anche questo era il Mediterraneo, mentre ora di asfaltano i litorali, chiudono le ultime tonnare e la memoria se ne va con i tombaroli. Siamo all’ultimo atto? È forse per questo inevitabile seno di catastrofe  che l’esperienza di un gruppo di operatori subacquei, pubblicata nell’articolo “Anfore in catene”, ci è sembrata eccezionale e subito da proporre così come è stata vissuta.

Fra qualche tempo sarà infatti più facile visitare la luna che vedere un campo di anfore intatte adagiate sul fondo del mare, frequentate da pesci e aragoste. Ecco, vorremmo che questa visione ci rimanesse, così come le foto dell’articolo riescono a suggerire.

Dunque facciamo in modo che su quel fondale  di Pianosa non arrivano i clandestini – non mancano fortunatamente  presupposti di un’adeguata tutela – e che anche gli archeologi resistano alla tentazione dello scavo.

Il campo delle anfore di Pianosa non può essere sacrificato neppure sull’altare della ricerca scientifica: un paradiso terrestre non entra in museo.

Facciamone invece un parco archeologico sommerso, una sorta di osservatorio archeologico-naturalistico – non dimentichiamo che la difesa dell’ambiente o è integrale o non lo è – come ad esempio si è cominciato a fare sui fondali di Ustica in un contesto senz’altro più compromesso.

I nostri figli o nipoti avranno pure il diritto di continuare a stupirsi semplicemente tuffandosi in mare. Non vorremo studiare, capire, prendere e godere tutto noi! Dicono che il soprintendente archeologo della Toscana è divenuto subacqueo: spero che capirà e saprà adeguatamente operare.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”