Berenice Berenice… Le grandi scoperte

Archeologia Viva n. 17 – marzo 1991
pp. 10-17

di Alessandra Rozzi
foto di Alfredo e Angelo Castiglioni

La storia di questa straordinaria scoperta è apparsa come un film:

un gruppo di esperti ricercatori si inoltra nel difficile deserto del Sudan e ritrova i ruderi dimenticati di Berenice Pancrisia la città “tutta d’oro” fondata da Tolomeo II Filadelfo

Tre studiosi italiani alla ricerca di una città dimenticata. Un viaggio massacrante. Poi la scoperta, al tramonto, in pieno deserto. Quasi da film. E dopo il vaglio degli addetti ai lavori un’ipotesi affascinante, che si fa strada con sempre maggiore insistenza: che quei ruderi affioranti nel Sudan orientale altro non siano se non i reti della mitica “Berenice Pancrisia”, la città “tutta d’oro” citata da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia. L’Eldorado dei Faraoni. L’unica fra le tante città fondate da Tolomeo Filadelfo II e dedicate alla madre Berenice che ancora non aveva risposto all’appello degli archeologi.

Autori della scoperta, che potrebbe segnare una svolta negli studi di egittologia, tre milanesi: i gemelli Alfredo e Angelo Castiglioni, 53 anni, e Giancarlo Negro, 45 anni. Niente a che vedere con un team di addetti ai lavori. I primi due sono liberi professionisti. Il terzo, imprenditore.

Ma a scandire la loro vita cittadina ci sono i viaggi. «Siamo malati d’Africa», dice per tutti Angelo Castiglioni. E la loro “malattia” li porta lontano. Sulle tracce delle miniere di smeraldi e di porfido dei Faraoni prima. Su quelle di Berenice poi.

È il marzo dell’89 quando i tre partono alla ricerca della città perduta d’oro. Dalla loro hanno un camion, qualche macchina fotografica, un plico di fotografie del deserto nubiano scattate da un satellite della Nasa e un sestante elettronico. In aggiunta, niente sponsor e decine di litri d’acqua per sopravvivere.

La prima tappa africana è Alessandria d’Egitto. I Castiglioni e Negro risalgono il Nilo, s’imbarcano ad Assuan, attraversano il lago Nasser. Infine approdano a Uadi Halfa, sulla sponda sudanese. Da qui in poi è solo deserto, tanto che le stazioni sparse lungo la ferrovia inglese di età coloniale, usata come traccia per qualche decina di chilometri, non hanno nome, ma solo un numero.

«Eravamo alla ricerca del mitico Wawat, la regione che secondo gli annali di Tutmosi III forniva ai Faraoni tonnellate e tonnellate d’oro – spiega oggi Alfredo Castiglioni –, ma nessuno di noi aveva idea di dove si trovasse. Lasciati i binari avremmo potuto puntare ovunque».

Invece fra i tre si fa strada un’idea: seguire lo Uadi Allaki, il letto di un fiume fossile che si dirige a est, verso il mar Rosso. Non ci sono tracciati e tantomeno strade. Solo un sole che batte 13 ore al giorno, un vento incessante, scorpioni e vipere cornute. E qualche tribù di Beja, la popolazione locale, che da secoli vive in questi luoghi ostili.

Ma è la pista giusta: il primo indizio viene dal ritrovamento di alcuni scheletri di dromedari. È il segno che qui, in passato, transitavano le carovane. Poi iniziano le scritte. In caratteri geroglifici. A intervalli regolari, lungo il letto dell’antico fiume, come a indicare un percorso obbligato. E i cocci: alcuni risalgono addirittura all’Antico Regno.

Finché un giorno, dopo 850 chilometri di deserto, all’improvviso avviene l’incontro con la città. A 500 metri sul livello del mare, nel cuore di quelli che la tradizione chiama “Monti cristallini”. Il Nilo è a 450 chilometri in linea d’aria, il Mar Rosso a 250.

Il primo contatto è con una fortificazione. Poco lontano se ne riconosce un’altra: mura a secco alte fino a 10 metri in pietra scitosa, porte ad arco, un camminamento coperto a tutto sesto. E a fianco delle due rocche, l’abitato: una strada principale, due secondarie parallele, tutt’intorno resti di edifici e cocci, che in futuro si riveleranno preziosi fossili-guida.

E soprattutto gli indizi di un’intensa attività mineraria: semi-sommersi dalla sabbia, gli scivoli in pietra dove veniva fatta scorrere la polvere di quarzo aurifero mista ad acqua per tentare una prima separazione del metallo prezioso. […]