La Valle di Smeraldo Reportage dal Messico

Archeologia Viva n. 15 – gennaio 1991
pp. 44-53

di Judith Lange

Appunti di viaggio nella storia della Valle di Oaxaca

Si tratta di una delle terre più antica di civiltà del continente americano fra grandiosi scenari archeologici e usanze millenarie che sopravvivono

Il lungo periodo delle piogge, da giugno ad ottobre, trasforma la Valle di Oaxaca in mare d’erba verde, per cui i Messicani la chiamano “La Valle di Smeraldo”. Gli Aztechi, ultimi padroni prima della conquista degli Spagnoli di Cortés nel 1521, la definirono invece «Huaxyaca» che in lingua nahuatl significa «corona delle acacie».

Il nome d’epoca zapoteca è incerto, ma si conosce quello mixteco, «Yacucui», cioè «montagna verde».
Il terreno è straordinariamente fertile e ben protetto, tanto da poter ricavare due raccolti di mais all’anno e questa probabilmente è una delle ragioni per cui l’Oaxaca è tra le terre di più antica civiltà della Mesoamerica.

Alcuni reperti trovati nella valle e nelle colline circostanti si riferiscono all’epoca litica e paleo-indiana, mentre i primi centri cerimoniali e circa una quindicina di villaggi appartengono al periodo tardo-arcaico, intorno al 1500 a.C. Le capanne ritrovate erano di paglia e fango, la coltivazione era quella che si è mantenuta fino ai giorni nostri: mais, fagioli, zucche, avocados e chili.

Nel periodo cosiddetto della “formazione”, o “preclassico”, cioè dopo il 1200 a.C., un centro in particolare si distinse rapidamente dagli altri, San José Mogote, a una trentina di chilometri dall’odierna Oaxaca.

Possedeva il primo edificio pubblico finora conosciuto, una grande piattaforma rotonda, ed era probabilmente adibito a tempio; di esso oggi sono rimasti soltanto pochi sassi su una collina d’erba.

Ma i reperti, conservati in un piccolo museo a fianco del cumulo, sono estremamente indicativi per conoscere il livello culturale raggiunto da San José Mogote tre il 1450 e il 1050 a.C.

Nelle statuine e nei rilievi – che rappresentano teste di giaguaro e di rapaci, effigi del dio del fuoco e maschere di giada – si riconosce l’influenza olmeca, di cui gli archeologi per il momento ignorano le vie di penetrazione.

Nella fase evolutiva, databile dall’800 al 600 a.C., chiamata anche “fase di Rosario” (dal nome della località), si può cominciare a parlare della cultura degli Zapotechi, adoratori del dio Cocijo, il signore della pioggia; infatti in lingua zapoteca “Cocijo” significa “fulmine”.

La convivenza tra gruppi etnici sempre più numerosi fece nascere delle rivalità anche per la suddivisione delle terre, ragione per cui gli Zapotechi decisero di fondare un centro amministrativo più potente e fortificato. Scelsero così una piattaforma naturale, un alto colle che dominava per intero la Valle di Oaxaca (un altopiano a 1500 metri sul livello del mare), che verrà chiamato in seguito Monte Alban. […]