Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 15 – gennaio 1991

di Piero Pruneti

“Archeologia Viva” compie dieci anni

È nata a Firenze, dove vive tutt’ora, per benefico influsso dei Bronzi di Riace. Proprio così. E su questo “benefico influsso” vale la pena di spendere qualche riga. I due “Eroi” erano appena usciti dalle mani della Soprintendenza Toscana, all’epoca osannata sui mass-media come fucina di geni del restauro – ricordo l’esibizione di tanti generali soddisfatti – e ad ogni ora del giorno una fila di parecchie centinaia di metri si snodava fino in mezzo a Piazza SS. Annunziata a partire dalla sala di esposizione dei capolavori, giudiziosamente allestita in un pianterreno del Museo Nazionale con ingresso e uscita separati per aiutare il flusso della piena.

Per chi veniva da fuori la visione delle architetture brunelleschiane era già remunerativa dell’attesa infinita, mentre i fiorentini ripassavano più tardi se la fila esagerava. Per i Bronzi si stava verificando uno di quei fenomeni di suggestione collettiva dove le scelte critiche ed estetiche di ognuno vengono riassorbite in un irrazionale sentimento di massa.

I “Bronzi” andavano visti e basta e, a detta dei reduci dal pigia-pigia, davanti a quelle statue non si poteva non provare una particolarissima emozione. Ma la Calabria rivoleva a tutti i costi le sue celebrità, un poco ingelosita da quel fantastico battesimo fuori casa.

Allora i potenti riflettori di Firenze crudelmente si spensero e ai due idoli, amatissimi e un tantino costruiti, toccò rientrare nei ranghi di una più equilibrata collocazione al Museo di Reggio, in mezzo ad altri capolavori.

Così è la vita, anche per le statue. 
Fu comunque quella folla, imponente e inedita per un ritrovamento, a farci capire che l’archeologia stava entrando dalla porta centrale nella lista degli interessi culturali di massa e che si poneva il problema di una comunicazione adeguata nel settore: adeguata al tradizionale rigore scientifico della materia nonché alle esigenze divulgative di una società ormai pronta a recepire il messaggio archeologico.

Direi che il “fenomeno Bronzi” dimostrò una carica dirompente inimmaginabile e i primi ad essere colti di sorpresa furono gli stessi archeologi protagonisti di quell’iniziativa; insomma l’avvenimento andò ben al di là del puro e semplice significato espositivo in programma per trasformarsi in una sorta di innesco alla democratizzazione in un ambito disciplinare fino ad allora considerato riserva aristocratica di pochi.

“Archeologia Viva” fu concepita in questa temperie di genuini e un po’ innocenti entusiasmi scatenati dalle statue di Riace, anche se l’idea non avrebbe visto subito la luce.

Doveva infatti compiersi prima la parabola di un’altra testata fiorentina “Mondo Archeologico”, non dispregevole per certe adesioni scientifiche, ma ormai vecchia nello spirito e nella forma editoriale; molti nostri Lettori conservano forse i fascicoli di questa non lontana antenata.

La nostra rivista uscì qualche mese dopo sull’onda si un altro eccezionale evento dell’archeologia, la mostra del “Frontone di Talamone”, restaurato sempre dalla Soprintendenza Toscana, per il quale troppo presto si erano preventivati gli storici fasti dei “Bronzi”.

Il giorno in cui Pertini venne a Firenze per tagliare diversi nastri inaugurali che lo aspettavano, “Archeologia Viva” era in edicola con il “Frontone” sulla copertina, dimostrando una sintonia con i tempi reali dell’informazione che non è facile per un periodico.

A riprova di una mentalità burocratica e baronale che Archeologia Viva, quale libero organo di stampa, si sarebbe ritrovata a contrastare, ricordo che i responsabili della soprintendenza fiorentina non gradirono affatto questa nostra tempestività; la richiesta di un chiarimento ebbe una risposta irosa.

Evidentemente alcuni organi ministeriali non conoscevano ancora né i modi né l’utilità delle pubbliche relazioni e così ci prendemmo una porta in faccia al posto di un ringraziamento.

Quel primo scontro senza diplomazia con gli archeologi del Palazzo fu comunque molto utile perché mi avvertì senza perifrasi su certi modi personali e umorali di gestire le cose dello Stato anche nel settore archeologico.

Capii che “Archeologia Viva” avrebbe avuto da combattere con molti dei suoi teorici alleati e ciò evitò illusioni inutili. Ma anche gli amici furono subito tanti ed è grazie a quei primi e un po’ garibaldini rapporti di collaborazione se la rivista può oggi vantare il merito di aver rivoluzionato i modi dell’informazione archeologica e di aver dato il suo particolare contributo per una concezione più democratica dei beni culturali.
Dieci anni non sono pochi nella vita di una persona, anche se passano alla svelta.

Per una rivista valgono un periodo senz’altro più lungo e soprattutto pericoloso, come per un bambino i primi mesi: si può nascere desiderati, essere allevati con affetto e ugualmente soccombere per difficoltà biologiche. “Archeologia Viva” ha rischiato questo, di rimanere soffocata nella culla dove, nonostante il grande amore di cui era circondata, stentava a crescere per insufficienza costituzionale.

Così è stato fino al 1988, quando Giunti rilevò la testata conferendole un ben diverso spessore. Il passaggio alla periodicità mensile, che si inaugura con questo numero, è il frutto di una saggia politica editoriale e, ancor più, del caloroso sostegno che vecchie nuovi Lettori ci hanno dimostrato.

Altri anni ci attendono, Cari Amici, da trascorrere nella prospettiva del III millennio, ben presenti al meraviglioso flusso della storia che lo studio del passato ci permetterà di capire e indirizzare a buon fine.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”