Domus Aurea: ricerca dello splendore perduto Grandi monumenti del mondo antico

Archeologia Viva n. 78 – novembre/dicembre 1999
pp. 34-45

di Roberto Bartoloni e Carlo Pavia

Uno dei complessi monumentali più famosi di Roma antica conservatosi sul colle Oppio sotto le terme di Traiano è di nuovo visitabile dopo anni di impegnativi restauri
Oltre alla grandiosa estensione delle superfici la fastosa residenza di Nerone si caratterizzava per la ricchezza delle decorazioni oggetto di particolare cura negli attuali interventi conservativi

Com’è ormai ampiamente noto – grazie alla campagna d’informazione voluta dal Ministero dei beni culturali – la Domus Aurea è stata restituita, dopo venti anni, alla fruizione del pubblico, e questo è un evento di eccezionale valore: sia per la vastità e la difficoltà del restauro intrapreso per riportare gli ambienti ai passati splendori, sia per la particolare importanza rivestita dallo stesso monumento, l’unica dimora imperiale giunta fino a noi completa dal pavimento ai soffitti.

La Domus Aurea, la ‘casa d’oro’, fu il frutto della megalomania di Nerone (54-68 d.C.). Questi, sulle ceneri dell’incendio che nel 64 d.C. distrusse gran parte dell’Urbe, volle edificare una residenza mai concepita a Roma per proporzioni e lusso degli ornamenti: affidata alle cure degli architetti Severo e Celere, la fastosa reggia andò a occupare un’area di quasi ottanta ettari fra Palatino, Celio, Oppio ed Esquilino. Dopo che furono rasi al suolo case private e edifici pubblici (le cui strutture in molti casi fecero da fondamenta ai nuovi ambienti), quest’area venne del tutto ridisegnata, ospitando pascoli, vigneti, boschi, un lago e, ovviamente, tutte quelle immense e lussuose costruzioni che tanto impressionarono i contemporanei e di cui lo storico Svetonio riporta vivida testimonianza.

Ma tutto quello splendore durò poco: nel 68 Nerone moriva e Vespasiano (69-79), insediatosi saldamente sul soglio imperiale dopo il terribile “anno dei tre imperatori” (Galba, Otone e Vitellio), volle liberarsi in fretta di quell’eredità così scomoda e impopolare, legata a una visione assolutistica del potere, restituendo l’area all’uso pubblico (l’esempio più noto è quello del lago, sul luogo del cui invaso, adeguatamente drenato, fu innalzato l’Anfiteatro Flavio). Un padiglione appena , sul colle Oppio, sopravvisse al rinnovamento urbanistico dei Flavi, ma solo fino al 104, quando i suoi ambienti vennero destinati, una volta spogliati dei marmi e delle favolose opere d’arte e riempiti di terra quasi fino al soffitto, a fungere da robuste sostruzioni per le edificande Terme di Traiano. E così il silenzio e l’oblio si impadronirono dell’ultima testimonianza di quella che era stata una delle meraviglie architettoniche del mondo antico, ma ne costituirono nel contempo la salvezza, permettendone la conservazione fino ai giorni nostri.

La riscoperta avvenne casualmente alla fine del Quattrocento, quando curiosi o appassionati di antichità cominciarono a calarsi giù dai soffitti del padiglione sopravvissuto sul colle Oppio, attraverso i fori visibili ancora oggi. Le stupende pitture che ornavano la Domus Aurea suscitarono nel Rinascimento lo stesso clamore che, duecentocinquanta anni dopo, sarebbe toccato agli affreschi di Ercolano e Pompei. Artisti famosissimi, come il Pinturicchio, Raffaello, il Ghirlandaio, Giovanni da Udine, le cui firme graffite o tracciate a nerofumo ne testimoniano le visite, trassero ispirazione dagli affreschi e dagli stucchi neroniani, rendendo celebre l’arte delle “grottesche” (vale a dire delle pitture delle “grotte”, come furono chiamati gli ambienti della Domus Aurea) e riportando alla luce anche il ricordo del loro autore più noto, quel tal Fabullus (o Famulus) testimoniato da Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella sua Naturalis Historia per la mania di dipingere in toga anche sulle impalcature di cantiere.

Il resto è storia più recente: a partire dal XVII secolo le stanze cominciano a essere via via liberate dall’enorme cubatura di terra che le occupava, si effettuano planimetrie, la scienza archeologica, dapprima con grossi limiti poi in maniera sempre più scientifica, organizza ricerche e scavi. In questo modo sono stati restituiti circa centocinquanta ambienti del padiglione del colle Oppio, articolati su due ali: l’ala occidentale, caratterizzata da un cortile-giardino a pianta rettangolare, circondato da un portico di ordine ionico e ambienti distribuiti lungo i lati di questo, e l’ala orientale, centrata invece su una sala a pianta ottagonale e su due grandi cortili poligonali aperti ai lati di questa. La mancanza di porte, latrine, ambienti di servizio e sistemi di riscaldamento escludono il carattere residenziale del padiglione, riservato probabilmente solo allo svago dell’imperatore, in una cornice ricca di bellezze naturali e opere d’arte. […]