Urzulei e l’Ogliastra Dentro lo scavo

Archeologia Viva n. 77 – settembre/ottobre 1999
pp. 86-91

di Maria Ausilia Fadda

Un vasto territorio della Sardegna centrorientale con splendide montagne profondi canaloni e anfratti dove le ricerche stanno valorizzando le testimonianze di un lungo periodo della più antica storia dell’isola

In un lontano volume del 1931, Notizie degli scavi, l’archeologo Antonio Taramelli presentava la scoperta, avvenuta all’interno di una grotta della località chiamata Sa Domu e s’Orcu (‘la casa dell’orco’) di una statuina nota come “la madre dell’ucciso”, che ancora oggi costituisce una delle figure più suggestive e discusse della bronzistica nuragica. Il bronzetto venne interpretato dal Taramelli e da Giovanni Lilliu come una «madre comune che accoglie in grembo il figlio morto, ucciso forse in uno scontro rusticano tra i boschi di quercia, con speciali riti di sangue, e la madre lo offre alla divinità per suggellare il patto di vendetta voluto dalla legge ombra». Altre interpretazioni vedono nella statuina una dea madre che tiene il giovane morente. Con questo importante ritrovamento Urzulei, cittadina adagiata sulle montagne dell’Ogliastra, all’interno della Sardegna centrorientale, entrava nelle cronache archeologiche internazionali.

A parte il rinvenimento eccezionale del bronzetto di Sa Domu e s’Orcu, in passato la mancanza di dati provenienti da sistematiche ricerche archeologiche ha contribuito a dare del territorio di Urzulei e di tutta l’Ogliastra un’immagine di aree chiuse, in stato di isolamento culturale, e ha enfatizzato luoghi comuni che definiscono la stessa Ogliastra “un’isola nell’isola”. Recenti scoperte fortuite e, soprattutto, campagne di scavo curate dalla Soprintendenza archeologica di Sassari e Nuoro con la collaborazione di archeologi del luogo hanno riportato in luce dei monumenti che esemplificano alcune specificità dell’archeologia ogliastrina.
L’aspro territorio dell’Ogliastra è caratterizzato da rilievi montuosi biancheggianti di calcari, mentre altissime falesie creano invalicabili barriere sulla linea di costa. Queste belle montagne, apparentemente inospitali, che i Romani chiamavano montes insani, ‘monti pazzi’, restituiscono testimonianze che attestano la frequentazione dell’uomo dal Neolitico finale al termine dell’età del Ferro (3000-700 a.C.).

All’interno della grotta Murroccu, nel canalone in cui scorre il rio Codula Ilune, è stato rinvenuto un vaso d’impasto, biconico, con un alto collo segnato da scanalature parallele tipiche della cultura detta di Monte Claro (2500 a.C.), deposto come corredo funerario con altri manufatti ceramici e di ossidiana. Le innumerevoli grotte formatesi nei calcari mesozoici poste, talvolta, su irraggiungibili pareti a picco nei canaloni, venivano usate come sepolture, rifugi e luoghi di culto. Gli areali più ricchi di testimonianze sono quelli di Campos Bargios con il villaggio nuragico di Ruinas, la grotticella funeraria Sa Tumba, il villaggio nuragico di Mattari e il nuraghe Ghilifuili. Un’altra zona di rilevante interesse è quella di S’Arena Fennao, dove recentemente sono stati eseguiti lavori di scavo e restauro in due omonime tombe di giganti e nel nuraghe Perdeballa. Le tombe sorgono a breve distanza tra loro, lungo il margine di un pianoro calcareo sullo sfondo dell’imponente torrione del monte Novo San Giovanni che emerge dal confinante territorio di Orgosolo. […]