Toscana: le navi antiche di San Rossore Archeologia subacquea

Archeologia Viva n. 77 – settembre/ottobre 1999
pp. 32-48

di Stefano Bruni

Si configura come la scoperta più importante e spettacolare di fine millennio quella verificatasi nell’immediata periferia di Pisa presso la stazione di San Rossore
Interrato da almeno millecinquecento anni è tornato in luce il porto della città antica con il giacimento di navi più ricco conservato ed esteso di tutta la storia dell’archeologia

Se i capolavori che si innalzano dal prato della splendida piazza del Duomo stanno lì a ricordare la luminosa stagione medievale della Repubblica marinara e i monumentali Arsenali dell’area della Cittadella rappresentano il segno tangibile del ruolo di Pisa nella politica marittima del Granducato mediceo della Toscana, le ricerche sul terreno da tempo hanno evidenziato come l’antico insediamento, sorto e sviluppatosi alle foci dell’Arno, trovasse, fin dalle origini, la sua compiuta collocazione in una dimensione squisitamente tirrenica.

A parte i materiali databili fra tardo Eneolitico e prima età del Bronzo (III-II millennio a.C.), alcuni dei quali presentano significativi riscontri in altri reperti dell’isola d’Elba, uno scorcio sulla più antica storia della città ci è offerto dallo straordinario complesso monumentale recuperato nell’area della necropoli etrusca di via San Jacopo (vedi: AV n. 76), consistente nella tomba di un grande principe, la cui aristeia, ovvero ‘aristocraticità’, si caratterizza con una serie di eloquenti segni che marcano il suo legame con il mare e gli aspetti marinari del suo potere. In parallelo gli autori antichi citano più volte il ruolo marittimo di Pisa: Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) attribuisce a uno dei suoi mitici fondatori, Piseus, un’invenzione fondamentale per l’ingegneria navale da guerra, i rostra (posti di prua per colpire le navi nemiche), mentre Strabone (60 a.C. – 20 d.C.) ricorda la fiorente attività degli arsenali pisani.

Si collocano in questo quadro le recenti scoperte nella zona a ovest delle mura medievali, nell’area della stazione di Pisa-San Rossore, mezzo chilometro in linea d’aria dalla piazza del Duomo, dove, durante la realizzazione del nuovo centro direzionale della linea ferroviaria tirrenica, nel dicembre scorso sono tornati in luce i resti del porto urbano, lo scalo più vicino alla città in epoca etrusca e romana. Una serie di circostanze fortuite – come, da un lato, l’abbondante falda acquifera superficiale e l’assenza di ossigeno nei livelli sabbiosi e, dall’altro, le difficoltà che in antico si frapposero al recupero delle varie imbarcazioni affondate per differenti motivi e in epoche diverse nel bacino portuale – ha fatto sì che giungesse fino a noi una quantità eccezionale di testimonianze. Non è azzardato definire le scoperte di Pisa-San Rossore tra le più importanti in questo scorcio di secolo, per la storia remota della città e, più in generale, per la conoscenza del mondo antico. Va comunque ricordato che, se il caso – elemento imponderabile e ineludibile della ricerca sul terreno – ha avuto un ruolo non secondario in tutta la vicenda, consentendo l’incredibile stato di conservazione dei reperti, non minore incidenza si deve alla tutela esercitata dalla Soprintendenza ai Beni archeologici della Toscana, che nel 1992 sottopose a vincolo l’intera area. Grazie a questo semplice – ma tanto ingiustamente temuto e vituperato – strumento di prevenzione si è potuto intervenire nei grossi lavori che le Ferrovie dello Stato avevano – e hanno – in animo di mettere in atto nella zona.

Lo scavo, iniziato lo scorso inverno, non è ancora concluso. Tuttavia per il clamore che questa scoperta ha destato, sia per gli aspetti propriamente archeologici che per le prospettive di sviluppo della stessa città di Pisa, accogliendo l’invito dell’amico Piero Pruneti, si è ritenuto opportuno offrire un’anticipazione sui risultati finora raggiunti, con tutti i limiti di provvisorietà che comporta una ricerca ancora aperta.

In passato le indagini sul territorio avevano già consentito di ricostruire la situazione ambientale della città, oggi distante 12 km dalla costa tirrenica, ma originariamente a ridosso di un complesso sistema lagunare, in una zona segnata dalla presenza di due fiumi, l’Arno e l’Auser (l’antico Serchio che ora sfocia più a nord), oltre che da canali e corsi d’acqua minori, in un quadro d’insieme simile, in qualche misura, a quello di Venezia e delle bocche del Malamocco. Le scoperte nell’area della stazione di San Rossore consentono ora d’impostare su elementi più certi l’ubicazione del porto urbano di Pisa oltre a risultare di estremo interesse per la ricostruzione della vita portuale di una grande città antica, dell’ingegneria navale e dei traffici mediterranei fra gli ultimi decenni del V sec. a.C. e il V secolo dell’era cristiana.

Mancano, al momento, elementi per datare l’inizio di attività dello scalo, all’interno di un’area insediativa che risale almeno alla fine del VII sec. a.C., mentre numerosi materiali, verosimilmente caduti in acqua durante le operazioni di scarico, consentono di collocarne la fine – almeno nel settore in cui si sta scavando – durante il V sec. d.C., in significativa coincidenza con il tracollo del sistema urbano nel mondo romano. Non a caso nei livelli archeologici più superficiali relativi alla vita del bacino sono stati recuperati resti di pavimenti in mosaico, di pareti affrescate, stucchi e membrature architettoniche di marmo che fanno pensare alla demolizione di alcuni edifici della città di età imperiale. È molto probabile, anche in considerazione della sua vicinanza, che questi edifici fossero ubicati nella zona della piazza del Duomo, dove gli scavi effettuati in occasione del consolidamento della Torre (vedi: AV n. 20) hanno evidenziato come a partire dal V-VI secolo questa parte della città vedesse i principali edifici crollati e l’impianto di una vasta area cimiteriale. Gli scavi di San Rossore ci forniscono dati anche riguardo alle trasformazioni che interessarono l’intero sistema ecologico dell’area, con il progressivo interramento del porto urbano di Pisa.

Per quanto riguarda le strutture più antiche dello scalo, sono stati individuati una palizzata frangiflutti e un molo, già collassato a suo tempo, consistente in un poderoso muro di blocchi messi in opera a secco; a questo si addossava un avancorpo di forma quadrangolare costruito con pietre più piccole, da cui si sviluppava una palizzata, rinvenuta in stato di crollo. I materiali recuperati (anfore, ceramiche a vernice nera, una brocca di impasto buccheroide e resti di un cratere a colonnette etrusco a figure rosse della stessa mano di un esemplare conservato nel Museo Guarnacci di Volterra, di fine V – inizi IV sec. a.C.) consentono di datare la distruzione di questo approdo negli anni attorno al 400 a.C. […]