Ramses II e il tempio di ‘milioni di anni’ Monumenti sul Nilo

Archeologia Viva n. 77 – settembre/ottobre 1999
pp. 18-31

di Christian Leblanc

Il culto del divino Ramses toccò le forme più splendide e significative nel grandioso Ramesseum costruito a Tebe Ovest ai limiti della fascia coltivata del Nilo

Nel quadro di una stretta collaborazione creatasi tra il Consiglio superiore egiziano delle Antichità, il Museo del Louvre, il Cnrs francese e l’Associazione per la salvaguardia del Ramesseum, si sta realizzando a Tebe Ovest un importante progetto di ricerca e restauro. Già dal 1991 il tempio di “milioni di anni” e la tomba di Ramses II, la KV 7, sono oggetto di un’esplorazione sistematica: scavi, rilievi, studi, ma anche restauri e valorizzazione dei due eccezionali monumenti, iscritti dall’Unesco nell’inventario del patrimonio mondiale, costituiscono i principali aspetti di queste attività pluridisciplinari. Dopo aver presentato ai lettori di «Archeologia Viva» le recenti scoperte effettuate nella tomba reale (vedi: AV n. 63), entriamo ora nella realtà del monumento-memoria edificato alla gloria del più grande dei Ramses.

Il Ramesseum, che J.F. Champollion aveva esaltato in una delle sue Lettres écrites d’Egypte et de Nubie come uno dei più begli edifici della Tebe del Nuovo Regno, fu costruito sotto il regno di Ramses il Grande. La storia di questo faraone prende avvio verso il 1279 a.C., quando, appena incoronato, il giovane sovrano d’Egitto inizia un viaggio verso il Sud del Paese per presiedere ai funerali ufficiali del padre Sethi I. È senza dubbio in questa occasione, o poco dopo, e comunque prima della fine del suo secondo anno di regno, che fu messo in opera il progetto del tempio di “milioni d’anni” di Usermaatra Setepenra (‘Potente è la giustizia-Verità di Ra, scelto da Ra’) “che si unisce alla città di Tebe nel Dominio di Amon”. Nello stesso periodo iniziò lo scavo della tomba reale.

Monumento dalle forme eleganti, dotato di alcune innovazioni dovute al talento di Penra e Ameneminet che ne furono gli architetti, il Ramesseum comprende piloni, cortili a portici, sale ipostile e sancta sanctorum (la cella inaccessibile riservata agli addetti al culto), ed è circondato su tre lati da estese costruzioni in mattoni crudi miracolosamente giunti fino a noi. Questo tempio, descritto dai viaggiatori dell’antichità classica che lo presentarono con il nome di «tomba di Osymandyas» (Ecateo di Abdera e Diodoro di Sicilia) o di «Memnonium» (Strabone), in passato è stato studiato solo in maniera incompleta dai pionieri dell’egittologia e ha ancora molto da svelarci circa il suo funzionamento cultuale e la sua gestione economica. Le ricerche in corso, effettuate all’interno del grande muro di cinta e nelle immediate vicinanze, accrescono progressivamente le nostre conoscenze sulle grandi tappe della sua storia, dalla costruzione fino all’abbandono del culto ufficiale, dalla sua riutilizzazione come necropoli durante il Terzo Periodo Intermedio (1078-747 a.C.) fino alla sua trasformazione in chiesa o in oratorio nei primi secoli della nostra era.

Come la maggior parte dei templi eretti sulla riva occidentale di Tebe, il Ramesseum è situato al margine delle terre coltivate e del deserto libico (o deserto occidentale egiziano). Orientato, grosso modo, in direzione est-ovest, il grande complesso copre, con le sue costruzioni collaterali in mattoni crudi, una superficie di circa sei ettari. Comprende un tempio principale, nel quale erano associati i culti di Amon-Ra e di Ramses II sotto forma divina; un mammisi, il ‘luogo della nascita’, consacrato a Mut, a cui era associata la madre Tuy, e alla sposa Nefertari; un palazzo reale situato a sud del primo cortile; una doppia cinta; un lago sacro; infine, gli annessi, costruiti in mattoni crudi, che costituivano il settore economico, dove si svolgevano le attività per il mantenimento del tempio e dei suoi custodi. La concezione architettonica del Ramesseum presenta delle evidenti originalità, soprattutto i piloni costruiti in pietra (fino ad allora sulla riva occidentale di Tebe erano stati innalzati piloni in mattoni crudi) e la via processionale delimitata da sfingi, che corona internamente il temenos (recinto sacro) sui lati nord, ovest e sud.

Mentre i templi divini (dedicati alle divinità) riproducono il microcosmo della creazione primordiale, i templi di “milioni di anni” (dedicati ai sovrani), qual è il Ramesseum, anche se perpetuano il concetto originario, sembrano insistere su un altro aspetto fondamentale: quello di magnificare la funzione reale. Se nel passato si riconobbe che in questi complessi religiosi si rigeneravano e rivitalizzavano il potere reale e il carattere divino del faraone, lo studio e l’analisi dell’architettura, dei rilievi e della statuaria vengono oggi a completare e a sviluppare questa interpretazione: immagine concreta del tradizionale paesaggio dei primi istanti dell’Universo, il tempio, e soprattutto i suoi elementi architettonici, rafforzano la trasmissione del messaggio. Ad esempio, la grande sala ipostila del Ramesseum, con il suo insieme di colonne a forma vegetale, costituisce, in questo contesto sacro, una delle tappe della creazione iniziale (palude e piante primordiali). Nel secondo cortile i pilastri osiriaci, che rappresentano Ramses mummiforme, incarnano la promessa del perpetuo rinnovamento dell’esistenza. Queste evocazioni particolari del sovrano in forma di crisalide, paragonabili a quella dell’embrione umano appena liberato dall’utero materno, fissano il ciclo della vita al suo inizio: è Osiride che si rinnova sotto l’apparenza di suo figlio Horus. Infine, nel primo cortile del tempio si assiste all’apoteosi della progressiva rivitalizzazione del re. Con la sua rinnovata potenza il faraone può d’ora in poi mostrarsi, come il dio Ra, garante dell’ordine cosmico ristabilito. Lungo il portico nord di questo primo cortile, privi ormai del sudario osiriaco, le statue colossali che ora più non esistono, lo presentavano un tempo in costume di gala e materializzavano questa nuova vita attiva. […]