Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 77 – settembre/ottobre 1999

di Piero Pruneti

C’è un luogo sacro dell’archeologia che fino ad oggi è rimasto inviolato, a fronte della dispersione che le testimonianze del passato hanno subito negli ultimi due secoli. Nonostante la ricchezza dei nostri musei, solo una parte minima di quanto gli antenati ci hanno lasciato è stata recuperata con metodologie scientifiche in grado di leggerne il contenuto storico e di assicurarne la pubblica fruizione. Ma c’è un luogo, come un’immensa irraggiungibile Pompei, dove nessuno ha potuto mettere le mani. Sono le grandi profondità marine, i fondali dai cento metri in giù, che conservano intatti i relitti delle navi antiche in navigazione d’altura. Si tratta quasi sempre di fondali posti in acque internazionali, dove non arriva la legge degli stati e che si sono protetti da soli. Ora anche per questo archivio archeologico – una delle poche ricchezze del pianeta che non abbiamo intaccato – è giunto il momento della verità.

È una verità che ci viene gridata da giornali e televisioni ogni volta che l’americano Robert D. Ballard, “l’esploratore degli abissi”, “il più famoso archeologo sottomarino”, “lo scopritore del Titanic”, si inabissa con il sommergibile che ha a disposizione per le sue ricerche: l’ultima conclamata impresa è stata la scoperta di due navi fenicie a largo di Israele (vedi p. 13). E la verità è che ormai gli alti fondali sono accessibili e che si tratta di luoghi “senza legge” dove tutti possono prendere tutto. Dunque, è appena iniziata la mattanza archeologia negli abissi ed è diventata drammatica la necessità di un accordo fra gli stati per dotare il diritto internazionale degli strumenti adatti a fronteggiare il nuovo saccheggio. Le stesse imprese di Ballard la dicono lunga su come possono andare le cose: sta succedendo in mezzo al Mediterraneo quello che da tempo non è più consentito in nessun paese civile, una “caccia al tesoro” condotta per iniziativa di un privato cittadino al di fuori del controllo delle istituzioni preposte alla tutela e alla ricerca scientifica. L’ultima frontiera dell’archeologia è fuori della stato di diritto.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”