Il villaggio delle case rettangolari Dentro lo scavo

Archeologia Viva n. 75 – maggio/giugno 1999
pp. 68-75

di Maria Bernabò Brea e Maria Maffi

In provincia di Piacenza la valle del Trebbia restituisce una documentazione archeologica di straordinaria importanza per la comprensione dell’età neolitica nell’Italia settentrionale
Intanto procedono a Travo sulle rive del fiume gli scavi del grande villaggio preistorico di Sant’Andrea

Da oltre vent’anni i membri dell’Associazione culturale “La Minerva” di Travo (Pc) esplorano ogni campo della media Val Trebbia e i risultati si sono sommati nel tempo: 175 i siti archeologici individuati (64 riferibili ai diversi periodi preistorici e protostorici, 90 databili all’età romana e 21 con materiali di epoca medievale o moderna), soprattutto nel territorio del Comune di Travo, dove l’esplorazione è ormai conclusa, mentre un numero ridotto di siti è stato localizzato nei comuni limitrofi, in particolare a Rivergaro. Il consistente numero dei ritrovamenti attesta, soprattutto per certe epoche, un fitto popolamento, giustificato dalla posizione della valle che offre un percorso naturale fra la pianura padana e la costa ligure.

Le ricerche hanno evidenziato i diversi ambiti territoriali di occupazione della valle in relazione alle esigenze economiche e “politiche” nelle varie epoche. La ragione per cui, ad esempio, le bande di cacciatori del Paleolitico antico e medio (fra 100.000 e 50.000 anni fa) frequentavano preferibilmente la fascia pedecollinare, fra Rivergaro, Gazzola e Agazzano, è che questa zona (molto diversa dal paesaggio attuale) costituiva la grande prateria dove pascolavano i branchi dei grossi erbivori; mentre la ricerca di materie prime, come il bel diaspro rosso del monte Lama, fra le estremità delle valli del Nure e del Ceno, ha determinato la frequentazione di aree più interne nell’Appennino fin da epoche molto antiche.

In un ambiente del tutto diverso, invece, troviamo le tracce degli ultimi cacciatori mesolitici (VIII-VI millennio a.C.) delle foreste postglaciali, dei quali è stato possibile individuare numerosi accampamenti estivi di caccia nella parte alta della valle, nel comune di Coli, fra gli 800 e i 1200 m di quota. I loro strumenti microlitici si trovano di solito presso i passi montani oppure accanto a laghetti glaciali (oggi divenuti quasi tutti delle torbiere), cioè nelle zone obbligate per il passaggio della selvaggina.
Anche per le comunità della successiva età neolitica (V-IV millennio a.C.) sono ancora una volta economiche le ragioni della scelta ambientale: i bassi terrazzi fluviali del tratto mediano della valle, fertili e facili da coltivare. Per la gente che si insediò durante l’età del Bronzo prevalsero, invece, le ragioni difensive: molti degli abitati del II millennio a.C. risultano arroccati in posizioni ben difendibili, sui roccioni di ofiolite che si ergono sopra Travo, come alla Pietra Perducca, oppure anche nell’alta valle, dove il Groppo di Vaccarezza, in direzione del Penice (il passo che apre verso la Val Stàffora, in provincia di Pavia), ha l’aspetto di una roccaforte imprendibile.

Le indagini effettuate consentono di ricostruire la storia del popolamento della media Val Trebbia (compresa fra i centri di Rivergaro e Perino) durante il Neolitico, fra V e IV millennio a.C., l’epoca in cui si insediarono i primi gruppi di agricoltori e allevatori. Come abbiamo già visto, gli insediamenti neolitici sono localizzati prevalentemente sui bassi terrazzi fluviali, dove si trovano i terreni leggeri e ben drenati, facili da coltivare anche con tecnologie primitive (all’epoca non era ancora in uso l’aratro).

La testimonianza principale della prima fase neolitica sono i resti di quella che quasi certamente doveva essere una grande capanna, venuta in luce sulla sponda del Trebbia presso Travo, a Casa Gazza, datata ai primi secoli del V millennio a.C. La fossa a forma di “8” (profonda un metro e lunga dieci) che accoglieva il vano dell’abitazione, una volta abbandonata, venne riutilizzata per i rifiuti: ceramiche e manufatti litici in disuso, resti di fauna… È possibile che questa struttura, come le altre più piccole identificate a Pieve Dugliara (Rivergaro), sempre in Val Trebbia, e a Cecima (Pv), in Val Stàffora, rappresenti, più che parte di un villaggio, una sorta di fattoria isolata.

I materiali rinvenuti appartengono alla facies del Vhò di Piadena e sono pienamente inquadrabili nel mondo padano-alpino: è significativo, ad esempio, che vi sia un’alta percentuale di selce alpina, importata dalle Prealpi veronesi, di migliore qualità rispetto a quella appenninica. Alcuni vasi sono stati importati o imitano oggetti tipici di altri aspetti culturali: vi sono tazze nello stile tipico della facies di Fiorano, due vasetti “a pipa” e un fiasco realizzato in una tecnica a cordoni impressi riscontrata anche in oggetti liguri, un vaso con forma tipica del Vhò, ma decorato come la “ceramica impressa” adriatica. Infine, un grande vaso a fruttiera sembra avere una valenza rituale: al suo interno è realizzata una rozza figurina antropomorfa, che trova confronti specialmente nel mondo balcanico e danubiano. […]