Napata e Meroe: templi d’oro sul Nilo Viaggio in Nubia

Archeologia Viva n. 75 – maggio/giugno 1999
pp. 46-59

di Anna Maria Donadoni Roveri

Lungo il Nilo fra Assuan e Khartum alla scoperta del regno di Kush

nell’affascinante dimensione di una terra che trasse il suo ruolo storico dai rapporti con l’Egitto mediterraneo e con le aree centrali del continente: è la Nubia “eldorado” dei faraoni ora protagonista di una grande mostra a Torino

Il portale della tomba di Harkhuf, ad Assuan, introduce il visitatore a una mostra insolita anche nella scelta del titolo “Napata e Meroe. Templi d’oro sul Nilo”, nel quale riecheggiano, sonore e piene di fascino, le note dell’Aida mentre sullo sfondo riemerge il ricordo favoloso della Candace, la regina nera ricordata anche negli Atti degli Apostoli.

Le iscrizioni della tomba, che si estendono sia nell’architrave sia ai due lati della porta, servono meglio di ogni altro elemento a illustrare i propositi della mostra. Harkhuf era un alto funzionario: «Conte, governatore del Sud, cancelliere del Re, compagno unico, sacerdote ritualista, capo di carovana», vissuto ad Assuan, all’estremo sud dell’Egitto, durante i regni di Merenra e Pepi II, alla fine della VI dinastia (XXIII sec. a.C.).

Le iscrizioni, in bellissimi geroglifici, raccontano le sue quattro spedizioni nel «paese di Iam», la Nubia, per riportare in Egitto «trecento asini carichi d’incenso, ebano, balsamo, grano, pelli di leopardo, zanne di elefante, bastoni da getto, ogni cosa bella e preziosa». A destra della porta un’altra iscrizione riproduce la lettera del faraone Pepi II che si rallegra per il dono di un pigmeo danzatore.

L’atteggiamento di Harkhuf, vissuto circa 4250 anni fa, è, nei riguardi della Nubia, ossia del vasto territorio che va da Assuan alla convergenza dei due Nili, dove è l’odierna Khartum, non molto diverso da quello della maggior parte degli studiosi che fino agli anni Sessanta di questo secolo se ne sono occupati.

La Nubia è vista come un territorio indeterminato sul quale si esercitano le volontà di preda e conquista da parte del potente vicino settentrionale che, fin dall’inizio del III millennio a.C., ha saputo darsi una solida e ben organizzata struttura statale.

Il Nilo e lo studio di un territorio minacciato dalle acque

Non sono certo mancate, a partire dalle precocissime esplorazioni di J. Bruce e di J.L. Burckhardt, alla fine del Settecento, spedizioni archeologiche intese a sondare le ricchezze di un Paese di cui si avevano solo vaghe nozioni. La più ampia fu quella condotta dal Lepsius negli anni 1842-45. Tuttavia, il primo controllo metodologicamente corretto, ma limitato quasi esclusivamente alla Bassa Nubia (fra Assuan/prima cateratta e la seconda cateratta del Nilo), si ebbe solo a partire dall’inizio di questo secolo, quando la costruzione della prima diga di Assuan impose lo studio di un territorio fortemente minacciato dall’innalzamento delle acque.

Si rinforzarono templi e si esplorarono vaste zone, soprattutto a opera degli egittologi G.A. Reisner e di C.M. Firth. Una sopraelevazione della prima diga di Assuan negli anni Trenta portò alle campagne di scavo di W.B. Emery e di L.P. Kirwan, con le scoperte delle tombe principesche di Ballana e Qustul.

Ma è solo a partire dagli anni Sessanta, quando l’Unesco lanciò una campagna internazionale per il salvataggio dei monumenti minacciati dalla costruzione del nuovo grande sbarramento di Assuan, “la grande diga” che forma l’attuale lago Nasser – campagna alla quale aderirono numerosissimi Paesi, tra cui, subito, l’Italia – che inizia a cambiare il punto di vista degli studiosi. La Nubia comincia a disvelarsi nelle caratteristiche sue proprie, al di là di quelli che sono gli indubbi e, in certi periodi, fortissimi contatti con l’Egitto.

Agli occhi attenti degli esperti, allertati da sempre più raffinate tecniche di scavo, appaiono, e in taluni casi diventano determinanti, gli elementi originali di culture le quali, oltre che all’Egitto, sono strettamente legate all’Africa centrale e che quindi si pongono in un vivace e fecondo rapporto dialettico – e non solo di sudditanza – nei riguardi del più potente vicino. […]