Malta: microcosmo mediterraneo Preistoria e Megalitismo

Archeologia Viva n. 75 – maggio/giugno 1999
pp. 20-37

di Anthony Bonanno

L’arcipelago maltese conserva grandiose testimonianze di settemila anni: dallo sbarco preistorico dei primi coloni provenienti dalla Sicilia alle più recenti vicende quando Malta diventa sentinella del Mediterraneo ma due momenti contraddistinguono in particolare la vita delle tre isole maggiori: l’esperienza dei templi megalitici e la splendida epoca dei Cavalieri di san Giovanni

In base alla documentazione archeologica di cui disponiamo, la presenza dell’uomo sulle isole maltesi è verificabile solo per gli ultimi settemila anni. Non abbiamo testimonianze anteriori al 5000 a.C., quando l’uomo aveva già imparato a coltivare piante commestibili e a costruire imbarcazioni sufficientemente solide da consentire traversate di ampi tratti di mare aperto, nonostante che nei precedenti periodi delle varie ere glaciali, ciascuno della durata di millenni, l’arcipelago maltese, in seguito ai forti abbassamenti del livello marino, fosse rimasto a lungo unito alla Sicilia.

Durante il Pleistocene (1.800.000-11.000 anni fa) il paesaggio delle isole maltesi doveva apparire molto diverso. Grandi quantità di ossa di animali pleistocenici, come ippopotami ed elefanti nani, sono state scoperte all’interno di grotte e crepacci e in depositi aperti, per cui è ragionevole supporre che, tra l’ultima fase interglaciale (circa 150.000-90.000 anni fa) e la prima interferenza umana sull’habitat delle isole (attorno al 5000 a.C.), queste presentassero una vegetazione assai più ricca dell’attuale.

Quando dalla terra più vicina, la grande isola di Sicilia, giunsero per mare i primi abitanti, questi trovarono dunque un paesaggio ben diverso da quello spoglio, roccioso e arido di oggi. Purtroppo manca una campionatura degli orizzonti archeologici, capace di illuminarci sull’ecosistema prevalente nell’arcipelago all’epoca delle prime interferenze umane e dobbiamo attendere che in futuro le nostre ipotesi vengano confermate da analisi paleobotaniche e paleozoologiche su campioni di suolo rappresentativi di questo primo periodo della preistoria maltese. Neppure siamo in grado di dire quali animali vagassero per quelle terre ancora vergini: probabilmente gli stessi del periodo subito precedente la regressione finale dei ghiacciai e il conseguente definitivo innalzamento del livello marino (fenomeni che, circa diecimila anni fa, ovvero al termine dell’ultima glaciazione, determinarono il distacco dell’arcipelago maltese dal continente). Forse, alcune specie, come l’orso, erano estinte quando arrivò l’uomo, mentre altre, quali il cinghiale e il cervo, sopravvissero molto più a lungo, come attesterebbe il ritrovamento di ossa di questi animali in contesti attribuibili all’età dei Templi (3600-2500 a.C.). I primi esemplari di animali domestici (capre, pecore, bovini e suini), insieme a una selezione di sementi, si suppone che siano giunti insieme agli uomini attraverso il tratto di mare, relativamente esteso, che separava dalla Sicilia la nuova patria dei coloni.

L’obiettivo immediato dei primi agricoltori e allevatori che si stanziarono sulle isole in questa prima fase del Neolitico maltese (5000-4100 a.C.) fu l’appropriazione di terreni coltivabili. Ciò, con il tempo, comportò una sempre maggiore deforestazione, quindi l’erosione dello strato fertile di humus e l’inaridimento per la perdita in mare di preziosa acqua piovana. Ma tali problemi non sembrano essersi acutizzati almeno nei primi due millenni e mezzo di presenza umana nell’arcipelago.

Il secondo periodo dell’età neolitica a Malta (4100-2500 a.C.) è caratterizzato da sorprendenti costruzioni in poderosi blocchi di pietra, i cosiddetti “templi megalitici”. All’origine di tale periodo possiamo individuare una nuova ondata di coloni proveniente dalla stessa matrice della prima migrazione (la Sicilia sudorientale): i nuovi arrivati sembrano aver sostituito o completamente assoggettato, almeno culturalmente, la popolazione protoneolitica precedente, con nuove idee e un sostrato culturale diverso. Le prime manifestazioni accertate sono dei modesti ipogei sepolcrali collettivi di cui si sono ritrovati per la prima volta esempi a Zebbug, sull’isola di Malta, e più recentemente a Xaghra, sull’isola di Gozo. Con il tempo questo tipo di sepolcreti si sarebbe evoluto sotto forma di vastissimi complessi come lo straordinario ipogeo di Hal Saflieni (vedi: AV n. 5). Dalle tombe di Zebbug proviene una misteriosa scultura, una testa umana stilizzata, molto astratta, i cui lineamenti sono suggeriti da linee e fori incisi. Una testa simile, più piccola e di fattura forse più approssimativa, proviene dalle tombe di Xaghra.

Ciò che colpisce, in questa evoluzione culturale, è il fatto evidente che i contatti mantenuti col mondo esterno, cioè con la Sicilia, Lipari e Pantelleria, come con l’Italia e oltre, si limitavano alla costante importazione di materie prime, quali la selce e l’ossidiana, per utensili o oggetti rituali, come i pendagli in pietra verde a forma d’ascia. Insomma, il traffico in entrambe le direzioni si limitava a beni strettamente materiali.

A partire dalla terza fase dei templi megalitici (fase di Ggantija, 3600-3000 a.C.), questo popolo di agricoltori diede vita a uno sviluppo culturale di grande importanza ma in totale isolamento, senza ispirazioni dal mondo esterno e senza un influsso diretto su di esso. Questo fenomeno culturale, reso possibile da un’efficace, sovrapproduttiva economia agricola, un’altrettanto efficace, benché primitiva, organizzazione sociale, e una salda fede in una grande idea religiosa – tale, letteralmente, “da muovere le pietre” – produsse la concettualizzazione e la realizzazione, in architettura, di opere geniali come i templi di Ggantija, Tarxien, Hagar Qim o di Mnajdra. […]