Luigi e Madeleine: una vita per l’archeologia Personaggi

Archeologia Viva n. 74 – marzo/aprile 1999
pp. 90-91

di Giovanna Bongiorno

Il riconoscimento per meriti scientifici che la Regione Siciliana ha riservato a Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier offre l’occasione per ricordare l’opera – tuttora in corso – dei “fondatori” della ricerca archeologica nelle isole Eolie

Qualche tempo fa, la Sicilia, nota nel mondo per la grande quantità e qualità di beni culturali – e anche per il disprezzo sistematico che la sua classe politica e la sua burocrazia riservano a questo patrimonio dell’umanità – con un gesto che, per dirla in burocratichese, era proprio un atto dovuto, ha conferito un riconoscimento ufficiale ad alcune personalità che hanno contribuito alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale siciliano. Tra questi “benemeriti” figurano a pieno titolo gli archeologi Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier. E qui, nulla togliendo ai grandi meriti di tutti i premiati, tra cui il professor Rosario La Duca, è dei due archeologi che vorrei parlare, i quali siciliani non sono – anche se si sentono profondamente tali – mentre avanti negli anni sì, avvicinandosi il primo ai novant’anni e l’altra non sappiamo, e non ci interessa, prima di tutto perché è una signora, poi soprattutto perché l’immagine che di lei prevale, anche solo incontrandola, è quella di chi conserva sempre la grazia, lo charme e la vitalità di uno champagne d’annata.

La storia comune di questi due personaggi, che uniti da sempre nella passione per l’archeologia lo sono anche nella vita, ha inizio negli anni Cinquanta, quando il giovane e promettente archeologo, rampollo di un’antica famiglia patrizia ligure, si trovava già da tempo a Siracusa, richiamatovi dal Ministero che lo aveva strappato alla sua sede naturale, Genova, ai suoi studi sulla caverna delle Arene Candide di Finale Ligure, per affidargli, in pieno conflitto bellico, la Soprintendenza alle antichità della Sicilia orientale e la responsabilità che era stata del grande Paolo Orsi. Un’epopea, quegli anni siciliani e siracusani, con la pressante necessità di salvare i tesori del museo e possibilmente la vita, sotto le costanti incursioni aeree, senza dimenticare la ricerca scientifica. In questo eroico tentativo che abbracciava la tutela dei beni archeologici di mezza Sicilia, qualcuno della soprintendenza, a Palazzolo Acreide, sugli scavi dell’antica Akrai e sotto i bombardamenti, ci lasciò l’esistenza, mentre Bernabò Brea scampava per caso.

Cessato il conflitto, il Museo archeologico di Siracusa fu il primo della Sicilia a riaprire i battenti mentre la ricerca archeologica, uscendo dall’ambito provinciale cui era stata relegata dalla situazione italiana, grazie ai personali rapporti di Bernabò Brea con Nino Lamboglia, creatore e direttore dell’Istituto internazionale di studi liguri, inaugurava una stagione vivacissima di rapporti e confronti internazionali, legandosi a uomini come Maurice Louis, Martin Almagro e Marc Sauter e superando d’un balzo, in nome della cultura e della cooperazione scientifica, quello che la diplomazia ufficiale, nel clima doloroso del dopoguerra, tra ferite e lacerazioni, non riusciva ancora a sanare. Anni fervidi e luminosi dai cui ricordi escono i nomi del Gotha internazionale della ricerca archeologica, di coloro che, non più tra noi, per i loro meriti, a parte tutti i riconoscimenti accademici, sono diventati nomi di strade, piazze e aule universitarie. […]