Ricerche subacquee: c’è modo e moda Archeologia subacquea

Archeologia Viva n. 74 – marzo/aprile 1999
p. 87

di Domenico Macaluso

La difesa dei beni archeologici sui fondali internazionali richiede un’azione decisa da parte dei governi soprattutto nel mare più a rischio: il Mediterraneo
E non si confonda il prelievo con la ricerca archeologica!

Non c’è moda che non venga dagli Usa. L’ultimo grido è un nuovo tipo di sport (visto che di scienza non si tratta), la caccia al tesoro sommerso. Si possono cercare due categorie di tesori in fondo al mare, dove quasi sempre sono finiti in seguito a un naufragio: tesori propriamente detti (lingotti d’oro o d’argento, monete, gioielli…) e “tesori” archeologici. Visto che il continente americano è ricco del primo tipo di tesori, grazie agli intensi traffici intrapresi dagli europei a partire dal Cinquecento, gli adepti al nuovo sport si prendono raramente la briga di raggiungere altri mari per praticare il redditizio passatempo (nel 1971 Mel Fischer ritrovò il relitto della “Nuestra Señora de Athoch”, da cui recuperò preziosi per oltre 300 milioni di dollari). Assai diverso il discorso per l’archeologia, i cui “tesori” si trovano quasi esclusivamente nei mari del vecchio continente.

Consapevoli che l’evoluzione tecnologica degli strumenti per l’indagine e il recupero ad alte profondità consente di acquisire reperti che altrimenti difficilmente avrebbero potuto lasciare i paesi di provenienza, sin dal 1989 gli Stati Uniti hanno recuperato beni archeologici dal Mediterraneo, sprezzanti, se non delle buone maniere, della legislazione e delle normative del diritto di recupero, regolamentati da convenzioni internazionali. Pioniere e campione del nuovo sport è Robert Ballard, l’oceanografo statunitense, famoso per aver ritrovato il relitto del Titanic.

Dopo anni di sonnecchiamento, dopo l’ennesima grave azione di prelievo di reperti dal Canale di Sicilia, nell’estate del ’97 e ancora per mano di Ballard, che era ricorso addirittura all’ausilio di un sommergibile nucleare (vedi: AV n. 67), le autorità politiche e scientifiche italiane hanno alzato la voce su ciò che finalmente è stato definito «saccheggio», denunziando l’episodio all’Unione Europea e all’Unesco e appellandosi al Tribunale internazionale del mare, ad Amburgo. […]