Archeologia Viva n. 73 – gennaio/febbraio 1999
p. 80
di Stefano Benini
I criteri per la salvaguardia delle testimonianze del passato sono soggetti a interpretazioni variabili che possono risolversi a scapito del bene stesso
Si è già detto che condizione indispensabile affinché un bene privato sia sottoposto alla tutela culturale e ambientale è che esso sia stato oggetto della formale notifica al proprietario, la quale vincola utilizzo, trasformazione e disposizione del bene. L’apprezzamento che sta alla base della formale imposizione dei vincoli storico-artistici e paesaggistici è condotto secondo i criteri desumibili dalle discipline umanistiche: tale valutazione è definita «esercizio di discrezionalità tecnica».
Mentre la discrezionalità amministrativa comporta una valutazione di opportunità e convenienza nel compimento di determinate attività, e si esercita nella comparazione tra i vari interessi in gioco, nella discrezionalità tecnica, invece, è solo il riferimento a discipline tecniche e scientifiche che indirizza l’autorità amministrativa al compimento di determinate attività. Ad esempio, se nel rilascio di licenze commerciali o concessioni edilizie, l’autorità valuta la compatibilità dell’interesse del privato richiedente agli interessi generali a un ordinato sviluppo del territorio e a una funzionale presenza dei servizi, nella decisione se vincolare o no un immobile o un dipinto, dovrebbero essere solo canoni storico-artistici a indurre l’amministrazione alla notifica. Con il risultato che la semplice presenza dell’antiquitas e del pregio estetico sarebbe sufficiente a vincolare un bene: riconosciuta la sussistenza dell’interesse storico-artistico o paesaggistico, l’amministrazione è tenuta a emanare il provvedimento di vincolo.
Il problema riguarda anche tutto ciò che concerne la gestione della cosa, una volta che la stessa sia stata notificata o qualora sia di proprietà pubblica – perché allora non è necessaria la notifica – che presenti oggettivamente l’interesse storico-artistico o ambientale: le eventuali trasformazioni del bene (spesso abilmente celate dietro retoriche proposte di restauro, conservazione e fruizione) devono essere sempre autorizzate: dalle soprintendenze, per quanto concerne i beni storico-artistici, e dalle regioni, per il paesaggio. Frequenti fatti di cronaca e di malcostume, però, dimostrano che l’esistenza dell’interesse storico-artistico non è una difesa sufficiente contro la perpetrazione di scempi per la cultura e l’estetica, perché, a parte ogni tipo di attività abusiva – sovente “tollerata” da chi, viceversa, è preposto a esercitare il controllo – la cancellazione di testimonianze storiche o la compromissione di aree di pregio ambientale hanno spesso ricevuto l’avallo dell’autorità cui compete la preservazione dei beni culturali. […]