In Sardegna con il popolo dell’archeologia Insieme per l'archeologia

Archeologia Viva n. 73 – gennaio/febbraio 1999
pp. 72-77

di Autori Vari

Una serie di monumenti nuragici viene sottratta all’abbandono grazie alle “operazioni” promosse dall’Ente sardo industrie turistiche che hanno innescato un circolo virtuoso di adesioni: prime fra tutte le due soprintendenze archeologiche

Le quattro “operazioni ’98”, ovvero le campagne di scavo che nella trascorsa estate sono state condotte in Sardegna dalla Soprintendenza archeologica di Sassari e Nuoro e dalla Soprintendenza di Cagliari e Oristano (grazie al particolare e già quinquennale impegno dell’Esit-Ente sardo industrie turistiche per la valorizzazione del patrimonio culturale dell’isola, con la collaborazione di «Archeologia Viva» e dei comuni interessati) hanno portato sul campo centocinquanta volontari provenienti da ogni parte d’Italia, mentre si sta ampliando significativamente la presenza di partecipanti da altri paesi europei e dalla stessa Sardegna.

Con l’entusiasmo di tanti giovani – e non più giovani – e la disponibilità di un gruppo di archeologi che pensa in positivo, quattro importanti siti archeologici della Sardegna sono stati sottratti alla macchia mediterranea e al dominio pressoché esclusivo dei ricercatori clandestini per riacquistare la propria dignità di monumenti, di fonte preziosa di informazioni sul grande passato dell’isola e delle sue relazioni mediterranee, di località destinate alla frequentazione di un turismo intelligente. Mentre nel settore centrorientale sono proseguiti gli scavi presso l’ormai “storico” nuraghe Mannu (oggetto della prima “operazione” promossa dall’Esit) e nel complesso templare di Gremanu, altri due cantieri sono stati aperti, simbolicamente in località geograficamente opposte: nell’insediamento nuragico di Lu Brandali, all’estremità settentrionale, e al nuraghe Sirai, nella zona sudovest dell’isola.

Niente di simile, al momento, sta avvenendo in altre parti d’Italia. Voglio dire il recupero metodico dei monumenti archeologici di un’intera regione nell’ambito di una serie di “operazioni” coordinate, alla base delle quali sta l’apporto del lavoro volontario.
Quest’anno le “operazioni” promosse dall’Esit per la valorizzazione del patrimonio culturale della Sardegna saranno almeno sei. Un numero ancora maggiore se ne annuncia per gli anni a venire, logicamente se la felice coincidenza di volontà e collaborazione fra enti locali, uffici dello stato e privati non verrà meno. A questo punto non è retorico parlare di rinascita culturale di un’isola: non solo e non tanto per il numero degli scavi realizzati con questa formula fortunata, quanto perché tutto questo di cui stiamo parlando si realizza a partire dalla presa di coscienza nei riguardi di un patrimonio comune. […]